Zakia Khudadadi - Reuters/Maja Smiejkowska
"Questa medaglia e' per tutte le donne, non solo quelle di Kabul. E per tutti i rifugiati. Perché sono sicura, alla fine vinceremo: e saremo liberi". Tre anni fa, lontano dal bronzo vinto oggi in nome di tutti i Rifugiati del mondo, era la vigilia di Tokyo, e per Zakia Khudadadi c'era un'altra Paralimpiade e altre guerre. La taekwondoka afgana sognava di combattere ai Giochi, ma rimase bloccata a Kabul dal caos nato dopo la ritirata degli americani. "Lasciatemi andare a Tokyo", il suo appello al mondo nel 2021. Si mobilitarono in tanti, a cominciare dal taekwondo italiano, col suo presidente Angelo Cito ("che enorme gioa vederla oggi sul podio, dopo tanta sofferenza"), quello mondiale, il Cip. Zakia fu fatta letteralmente "esfiltrare" da Kabul, nascondendosi sotto il burqa tra la folla disperata al muro di cinta dell'aeroporto della capitale afgana, in giorni da immagini tragiche. Di lì in Australia e poi a Tokyo. E poco importò agli italiani che poi al tempo Zakia avesse scelto di allenarsi con la nazionale francese. "E' una vittoria dello sport", dissero. Che si è compiuta ora, a Parigi.
Così come è successo all'Olimpiade di Parigi con la pugile Cindy Ngamba, anche alla Paralimpiade arriva una medaglia per il Team dei Rifugiati, la prima in assoluto nella storia dei paralimpici. Tre anni fa, stremata dalla sua fuga, Zakia fece in tempo ad arrivare in Giappone, dove venne eliminata al primo turno dall'uzbeka Ziyodakhon Isakova. Ma la sua partecipazione fu ugualmente molto significativa, rappresentando un messaggio di speranza per tutte le donne del suo paese di origine, alle quali non è consentito fare sport. Rifugiatasi poi in Francia dove la allena Haby Niaré, medaglia d'argento ai Giochi di Rio 2016, Khudadadi a Parigi è una degli otto atleti del Team dei Rifugiati che in questa Paralimpiade gareggiano in sei diverse discipline. Ieri in tarda serata ha fatto la storia battendo la turca Naoual Laarif nella finale per il bronzo bella categoria 47 kg K44.
"Ho lavorato duro e per me è un onore fare parte, qui a Parigi, del Team dei Rifugiati - le sue parole dopo la premiazione, nella quale ha ringraziato il tifosi francesi che l'hanno sostenuta come fosse della loro nazionale -. Ho dovuto lasciare il mio paese, la mia casa, il mio club, tutto. E' stata veramente dura, ma dentro di me ho trovato la forza di farlo. L'ho fatto per me stessa, per tutte le donne dell'Afghanistan e per i rifugiati di tutto il mondo. Continuerò con il taekwondo, anche a Los Angeles, perché adoro questo sport, e voglio vincere altri titoli per dedicarli alle donne del mio paese di origine, che prima di me a Tokyo non aveva mai avuto una ragazza in gara alle Paralimpiadi, e per tutti i rifugiati: non perdete mai la speranza".