mercoledì 16 giugno 2021
L’ex portiere campione d'Europa sul caso Donnarumma: «La sua cessione è specchio dei tempi, con il calcio in mano ai procuratori lui ha preferito i soldi invece di diventare una bandiera del Milan»
L'ex campione d'Europa Ricky Albertosi con la maglia della Nazionale parla di Donnarumma, suo erede in azzurro e fino a ieri nel Milan

L'ex campione d'Europa Ricky Albertosi con la maglia della Nazionale parla di Donnarumma, suo erede in azzurro e fino a ieri nel Milan

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«Donnarumma al Psg? Al momento non so nulla e non so cosa accadrà nei prossimi giorni e settimane». Se sul tormentone del portierone azzurro in procinto di approdare a Parigi dopo aver sbattuto la porta del Milan, il ct Roberto Mancini preferisce glissare per non offuscare l’azzurro orizzonte, a bloccare in presa l’insidioso pallone avvelenato con i suoi gloriosi guantoni nazionali e rossoneri ci pensa il campione d’Europa del 1968 Ricky Albertosi. «Che i medici del Paris Saint-Germain vadano a fare gli esami di routine a Donnarumma addirittura a casa Italia, a Coverciano, durante un campionato europeo è a dir poco impensabile oltre che senza precedenti – sbotta l’ottantunenne ex portiere della Nazionale, conquistata negli anni Sessanta e Settanta con le casacche di Fiorentina, Cagliari e Milan –. È una vicenda che crea disturbo non solo a Donnarumma, ma a tutto il gruppo degli azzurri. Il ritiro è zona franca, è inviolabile. Dovevano farglieli prima, ma se ancora non era cosa fatta il suo passaggio al Psg che glieli facciano dopo gli Europei. Così non va proprio. Ma non è l’unica cosa sbagliata in questa vicenda ».

Dica, Albertosi...

Tutta la questione Donnarumma è un segno dei tempi, di un calcio troppo in mano ai procuratori. Molti sono autentici mercenari che portano i giocatori dove vogliono loro anche in base ai pacchetti di calciatori che amministrano. E siccome alzando sempre il prezzo delle trattative fanno guadagnare di più anche ai giocatori, è chiaro che questi li seguono. Raiola poi, il re dei procuratori, ha un pelo sullo stomaco alto così.

Lei che la porta del Milan l’ha difesa fino a quarant’anni fa, come giudica la scelta di Donnarumma?

Dico che per quanto il mondo del calcio sia cambiato molto rispetto ai miei tempi, la maglia e la bandiera sono ancora importanti. E anche se i procuratori hanno un ruolo cruciale, alla fine è la volontà del giocatore quella che conta. Donnarumma dovrebbe ringraziare il Milan per quello che gli ha dato. Lo ha fatto esordire giovanissimo, gli ha dato fiducia, lo ha sempre fatto giocare, gli ha offerto un contratto stratosfe- rico... Gigio è cresciuto in una grande squadra dove poteva fare il capitano per tutta la vita, avrebbe giocato ancora per almeno quindici anni in una delle società più gloriose del mondo e ne sarebbe stato in qualche modo la bandiera come Rivera, Baresi o Maldini. Io al posto di Donnarumma non avrei pensato neanche un secondo se rimanere o meno al Milan. E non è un discorso legato ai tempi che sono cambiati, ma al cuore.

A proposito di sentimenti, cosa ricorda di quegli Europei vinti nel ’68?

Ricordo che persi il posto perché mi infortunai poco prima dell’ultima partita di qualificazione, mi era uscito l’osso da un dito in un contrasto ed ero ingessato. Così già da Napoli, contro la Bulgaria, il ct Ferruccio Valcareggi fece giocare Zoff. Io ero in riserva anche durante gli Europei, sedevo in panchina con il dito del piede fasciato. Invece due anni dopo ho giocato io da titolare ai Mondiali. Valcareggi mi conosceva molto bene perché era stato il mio allenatore alla Fiorentina, prima che vincessi lo scudetto a Cagliari.

Com’era il clima nella Nazionale di Valcareggi?

Non armonioso come quello creato da Mancini. Mi piace il gruppo, qui vanno tutti d’amore e d’accordo. Non perdere da così tante partite aiuta molto, fa morale e genera autostima. All’esordio contro la Turchia hanno stentato nel primo tempo, ma poi si sono sbloccati e hanno giocato bene, come sanno fare.

Nella sua Italia c’erano forse troppe rivalità?

Sì, soprattutto due anni dopo, ai Mondiali. Rivalità che io però non capivo granché. Quando siamo partiti per il Messico tra Rivera e Mazzola il titolare era Rivera. Prima dell’esordio vincente contro la Svezia Rivera ha però avuto un attacco di dissenteria e febbre, così ha giocato Mazzola che ha poi rigiocato anche la seconda con l’Uruguay, pareggiata. Prima della terza con Israele, Gianni aveva cominciato ad allenarsi ma non essendo ancora pronto è sceso in campo Mazzola. Rivera però ormai stava bene e chiedeva di giocare. Poi a un certo punto è arrivato in Messico Rocco.

E cosa successe?

Credo che tra l’allenatore del Milan e Valcareggi ci sia stato un conciliabolo, fatto sta che a partire dalla partita col Messico Mazzola ha cominciato a giocare il primo tempo e Rivera il secondo. Era nata la staffetta. Poi la polemica sui famosi sei minuti e sul perché Rivera e Mazzola non potessero giocare insieme. Ma credo che in ogni caso contro quel Brasile per noi non c’erano speranze.

Lei, Zoff e Buffon siete i portieri con più Mondiali disputati in azzurro...

E avrei potuto farne ancora di più. Ho esordito in serie A nel ’61 e ho giocato ai campionati del mondo del ’62, ’66, ’70 e ’74. Avrei potuto fare anche i Mondiali del ’78 in Argentina se Zoff non avesse chiesto a Bearzot di lasciarmi a casa perché non si sentiva sereno. Non ho mai capito il perché, visto che già nel ’74 il titolare era lui e io ero la riserva.

Cosa dice del possibile ritorno di Buffon al Parma che lo lanciò?

Sarebbe una cosa meravigliosa: finire la carriera dove l’ha cominciata, senza farsi problemi di andare a giocare in serie B. Un bell’esempio di rispetto dei valori e della bandiera, che a questo calcio purtroppo manca sempre di più.

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