Sigov: «Per la pace in Ucraina chiediamo aiuto alle filosofe»
Lo studioso ucraino invita a leggere Stein, Weil e Arendt: «Donne che vissero tempi bui, oggi possono aiutarci a concentrare le forze morali, spirituali e politiche»

«Un mese dopo l’altro, l’Ucraina si è rivelata come il baluardo europeo di resistenza della democrazia contro l’internazionale dell’oppressione e dell’autoritarismo. È un confronto morale sempre più serrato fra il nostro stile di vita e il terrore. L’abbiamo visto pure attraverso la partecipazione elettorale della minoranza rumena che vive in Ucraina, pronta a votare dall’estero in nome della libertà, senza lasciarsi stornare dalla propaganda di Mosca». Per il filosofo Konstantin Sigov, professore presso la più antica università d’Ucraina, l’Accademia Mogila di Kiev, tutte le strade verso l’Europa libera e unita del futuro passano oggi per le città ucraine, grandi e piccole, sotto le bombe. Fondatore e direttore dell’associazione culturale ed editoriale “Lo spirito e la lettera”, Sigov continua pure a svolgere un ruolo di ponte intellettuale fra Est e Ovest del continente. Nei mesi scorsi, sulla rivista francese Esprit, ha pubblicato una nuova testimonianza toccante che ha ottenuto un’ampia risonanza.
Come descriverebbe la fase attuale dal punto di vista della società civile ucraina?
«La gente ha voglia di vivere, una voglia di futuro. Più che mai. In proposito, posso citare un esempio vissuto in prima persona. Ovvero, la nuova edizione del grande salone del libro a Kiev, intitolato da numerosi anni “L’Arsenale del Libri” per via del luogo in cui si svolge, l’ex arsenale. È incredibile pensare che il pubblico è disposto a rischiare la vita pur di esserci, con un’affluenza in effetti superiore rispetto ai posti disponibili nei rifugi antibombe. Ed è eloquente pure la lista dei partecipanti, con grandi poeti, scrittori e traduttori in arrivo dall’estero o dal fronte. Per quasi una settimana, una nuova prova di resistenza. In miniatura e in filigrana, ciò rende pure l’idea dell’immensa solidarietà della società civile, anche con i soldati sul fronte».
Cosa ha visto rivelarsi, pian piano, nell’Ucraina sotto le bombe?
«È un Paese che si sta dimostrando forte anche interiormente. Perché riesce a trovare e a conservare gelosamente, nonostante tutto, lo spazio e il tempo per cogliere il senso di quanto sta accadendo. Il senso è che oggi il cuore dell’Europa è attaccato da un’aggressione che riguarda tutto il continente. Abbiamo ormai una certezza: lo stesso aggressore che oggi attacca il nostro Paese con missili balistici, o che dirige cyber-attacchi contro gli altri Paesi del continente, Italia compresa, o ancora che cerca di orientare le elezioni, come in Romania, ebbene questo aggressore non si fermerà davanti a nessun ostacolo per distruggere il suo avversario principale e dichiarato, che è l’Europa. In Europa, non è più possibile restare in uno stato di sonnolenza, pensando che questo conflitto riguardi gli altri».
Ritiene che una certa presa di coscienza europea stia avanzando?
«Lo scorso maggio, i Paesi del Consiglio d’Europa hanno approvato la creazione di un tribunale speciale per giudicare i crimini d’aggressione commessi dalla Russia in Ucraina. Dunque, l’Europa ha approvato una Norimberga contro Putin. Il tribunale comincia le sue attività all’Aja, a proposito del crimine indubitabile d’aggressione. È così ancor più logico che Putin guardi tutta l’Europa come una nemica. Ma in questa fase, occorre pure capire che, se Putin non sarà giudicato, proseguirà gli stessi crimini con altri Stati. Di questo, secondo quanto ho potuto constatare, sono pienamente consapevoli tanto i Paesi baltici, quanto quelli scandinavi. Dunque, questi mesi dovrebbero essere quelli di una comunicazione ancor più forte verso le società civili. Dei mesi per dire che occorre fare di tutto per vincere questa guerra e per far prevalere la giustizia. A livello politico, questo significa nuove sanzioni ancora più forti».
Le capita di pensare “Questa è l’anima del mio Paese!” di fronte a quanto osserva?
«L’Ucraina oggi è mossa da un’aspirazione collettiva: che si giunga quanto più possibile a un giudizio morale, giuridico e spirituale, dunque che le cose vengano nominate per quello che sono. Ecco il cuore di ciò che osservo, una sete di giustizia. Per questo, abbiamo espresso soddisfazione dopo l’elezione di papa Leone XIV, che aveva già l’abitudine di chiamare per nome l’aggressione imperiale russa senza possibili scuse. E abbiamo apprezzato che fin dal giorno d’inizio del suo ministero, il Papa abbia ricevuto il presidente dell’Ucraina. Ma dal nostro punto di vista, non si è trattato solo di un gesto verso l’Ucraina, ma pure verso l’Italia, l’Europa, tutta l’umanità di buona volontà. Percepiamo simili gesti come appelli per uscire dall’illusione e dal mutismo, per dire le cose come stanno. Sono gesti che possono spingere tutti ad essere più chiari, convincenti e coraggiosi».
Occorre nutrire oggi un soffio d’ispirazione riguardo alla pace?
«Sì. Per questo, occorrerebbe in fretta rileggere degli autori come Edith Stein, dichiarata da papa Giovanni Paolo II fra i patroni d’Europa, Simone Weil, grande autrice del radicamento, e Hannah Arendt. Tre donne in tempi foschi, come sono state definite in un libro di Sylvie Courtine-Denamy. Mi sembrano stelle intellettuali che possono guidarci in mezzo all’oscurità. Sono antidoti contro il ritorno all’idolatria totalitaria, come quella dei ritratti di Stalin presenti di nuovo nella metropolitana di Mosca. E possono aiutarci a concentrare le forze critiche, morali, spirituali e politiche, il che è oggi essenziale per la vita nostra e dei nostri figli. Per questa via, ne sono convinto, l’Europa potrà neutralizzare l’aggressore e agire efficacemente per il ritorno alla pace».
Lei cita celebri donne filosofe del passato. E le donne della vita di tutti i giorni, in Ucraina, svolgono un ruolo particolare per l’Europa che vuole la pace?
«Ho personalmente conosciuto Victoria Amelina, la scrittrice ucraina che aveva accantonato i propri romanzi per documentare i crimini di guerra russi, purtroppo uccisa nel 2023 durante un bombardamento, a soli 37 anni. Trovo molto significativi gli omaggi che le sono stati rivolti dall’Unione Europea, perché si trattava proprio di una donna ucraina dalle ardenti convinzioni europee. Ma è solo un esempio noto di una resistenza coraggiosa ucraina al femminile di cui siamo testimoni tutti i giorni».
C’è un posto particolare della fede nella resistenza ucraina?
«Fra chi si sta battendo, sono oggi in tanti a dire, indipendentemente dalle generazioni e dalle origini geografiche, che non ci sono atei sul fronte. Quando si resta sospesi sul crinale, fra la vita e la morte, ogni giorno e notte, ogni questione si pone in modo diverso. Per questo, i cappellani di ogni confessione che visitano il fronte e le trincee hanno un ruolo così importante e sono così popolari. Ne ho incontrati tanti, discutendo con loro. In proposito, ho l’impressione che questi infiniti scambi, al contempo così semplici, radicali e concreti, stiano divenendo come un fermento imprevisto per l’approfondimento autentico della fede, senza più orpelli sociali o di superficie».
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