Ripartire dallo spirito di Helsinki per costruire la pace

Il 1° agosto 1975 la firma degli accordi fondativi dell’Osce. Fattorini: «L’Urss fu erosa nelle fondamenta». Mauro: «Per troppi anni abbiamo chiuso gli occhi»
July 31, 2025
Ripartire dallo spirito di Helsinki per costruire la pace
Bundesarchiv | 1° agosto 1975: Schmidt, Erich Honecker, Ford e Kreisky firmano gli accordi di Helsinki
Ci sono a volte delle congiunzioni astrali - una sorta di incidente della storia, in cui chi crede può intravede la mano della Provvidenza - che vedono operatori di pace all’opera in grande sintonia e chi ha altri disegni concorre, alla fine, al risultato, pur essendo partito con tutt’altre intenzioni. C’è una foto che ritrae il segretario generale del Pcus Leonid Brežnev e il presidente Usa Gerald Ford mentre si stringono la mano davanti all’ambasciata Usa a Helsinki, con al fianco Andrej Gromyko ed Henry Kissinger. I capi di governo e i ministri degli Esteri di Russia e Stati Uniti in piena Guerra fredda danno così il via agli incontri che il 1° agosto 1975, mezzo secolo fa esatto, sfociarono nella celebre Dichiarazione di Helsinki.
Non si sa se fossero più anomali i 30 gradi che si registrarono in quei giorni nella capitale finlandese (che ben ricorda Gianfranco Nitti, che partecipò ai lavori di Helsinki come “borsista”) o quell’aggregazione ampia ed eterogenea di nazioni, ben 35: 33 appartenenti a quell’Europa «”a due polmoni” dall’Atlantico agli Urali» di cui avrebbe parlato Giovanni Paolo II, più Usa e Canada,
Già nel 1969 i Paesi del Patto di Varsavia avevano avanzato la proposta di una conferenza pan-europea, con l’obiettivo di definire i confini, per bloccare sul nascere eventuali altre iniziative autonomiste sul tipo di quella che l’anno precedente aveva indotto Mosca a intervenire con i carri armati in Cecoslovacchia. Proprio in quel 1969 aveva fatto il suo esordio da ministro degli Esteri (dopo aver attraversato una fase di sostanziale emarginazione, a cavallo del Sessantotto) Aldo Moro, che in un celebre intervento all’Onu avanzò il suo ambizioso progetto che voleva l’Italia protagonista di un processo distensivo ad ampio raggio (Est-Ovest, Medio Oriente, Africa e Mediterraneo). Moro incontrò Nixon invitandolo a prendere sul serio la proposta sovietica, pur piena di insidie, il processo andò avanti con stop and go, ma determinante fu la lunga permanenza alla Farnesina dello statista pugliese, fin quando il progetto, nel 1973, non prese corpo, dando vita alla Csce (Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa, oggi Osce), che iniziò a stilare una bozza di negoziati divisi nei cosiddetti “tre cesti”: il primo - sollecitato dall’Urss - concernente la sicurezza dei confini; il secondo, la cooperazione in ambito economico; il terzo, i diritti umani.
La congiunzione astrale, altrimenti detta Provvidenza, vide convergere in quei caldi - in tutti i sensi - incontri dell’estate 1975 tre fattori favorevoli. Il primo fu la disponibilità fattiva del presidente finlandese Urho Kekkonen a ospitare i negoziati, da Paese neutrale; il secondo l’inedito inserimento del Vaticano fra i 33 Paesi europei invitati; il terzo l’inaspettata “promozione” a presidente del Consiglio di Moro, che tornò a Palazzo Chigi a coronamento del paziente lavoro di quasi un quinquennio alla Farnesina. E qui una Regia invisibile realizzò il capolavoro: il capo del governo italiano, che conosceva più di ogni altro la materia del contendere, si trovò di fatto a partecipare ai lavori come presidente di turno della allora Comunità europea a Nove. Moro, sfidando l’insofferenza di Kissinger per le complicazioni che ciò comportava, chiese e ottenne che venisse dato seguito alla proposta di coinvolgere anche la Comunità europea alla firma dell’atto finale, al di là dell’assenso venuto dai singoli Paesi. Cosicché Moro nel suo celebre intervento a Helsinki annunciò che i Nove, per quanto concerneva le materie devolute alla Comunità, «hanno esaminato le conclusioni della Conferenza e ho l’onore di informarvi che esse le accettano. Di conseguenza firmerò l’Atto finale nella mia duplice qualità».
Moro così ebbe modo di accreditare agli occhi del mondo un’Europa che si poneva non solo come entità di cooperazione economica, ma anche come soggetto politico autonomo. Decisivo fu anche il ruolo del Vaticano che, con la supervisione di Agostino Casaroli e il ruolo fattivo nei negoziati di Achille Silvestrini (entrambi saranno poi creati cardinali da Giovanni Paolo II), si impegnò fattivamente a veder riconosciuta la libertà religiosa e il rispetto dei diritti umani. La storica Emma Fattorini in un libro scitto per Morcelliana (La diplomazia della speranza) ha approfondito in particolare il ruolo di Silvestrini: «L’Urss aveva spinto per Helsinki, e considerò un successo l’atto finale perché sanciva ai loro occhi lo status quo, considerando il resto poco più di un contentino consesso agli altri. Invece - sostiene Fattorini - Wojtyła, da arcivescovo di Cracovia e poi da papa, vi fece più volte riferimento nel chiedere alla Russia il rispetto degli impegni presi». Ciò valse per Solidarnosc, ma anche per Charta 77 in Cecoslovacchia. «L’Urss fu, così, erosa nelle fondamenta da un incontro che aveva chiesto per consolidarsi».
A chi l’accusò di aver stretto la mano a Brežnev e di aver firmato un accordo privo di efficacia Moro replicò profetico - lo ricordava Giulio Andreotti - che «il signor Brežnev passerà, ma il seme gettato a Helsinki darà i suoi frutti in seguito». Accadde proprio così. Poi venne la cauta del Muro, ma l’illusione che il capitalismo avrebbe messo d’accordo tutti, assertori ed ex avversari, durò poco.
Leone XIV sostiene che «oggi è più che mai indispensabile custodire lo spirito di Helsinki, rafforzare la cooperazione e fare della democrazia la via privilegiata per prevenire e risolvere i conflitti». Da dove ripartire, allora? Mario Mauro, ex ministro della Difesa e vicepresidente del Parlamento europeo, è stato anche delegato ai diritti umani per la presidenza dell’Osce e ha dedicato a questi temi un’approfondita analisi sull’Osservatore romano: «Non si può che ripartire dall’Osce - sostiene -. Questa strada è stata un po’ accantonata dopo le tante violazioni della Russia che per lunghi anni abbiamo finto di non vedere, fino alla Crimea. Come accade quando c’è un’invasione di campo l’arbitro è stato costretto a interrompere la partita. Ma non c’è - per uomini, funzione, composizione - un altro luogo se non l’Osce per far ripartire il dialogo. Serve chi sia in grado di far riprendere la partita. Ci ha provato la Turchia, la Santa sede fa sapere di essere disponibile, ora come 50 anni fa, a fare ogni sforzo perché il processo di pace riprenda. Compito dell’Italia è fare, ora come allora, la sua parte perché ciò accada».

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