Re Artù, un cavaliere quasi perfetto

Un libro racconta, tra mito e realtà, la storia del re di Camelot, un simbolo di giustizia e potere che però sembra esistere soltanto nella letteratura
March 11, 2025
Re Artù, un cavaliere quasi perfetto
WikiCommons | Re Artù raffigurato nell’arazzo dei “Nove Prodi”, 1385 circa
«Si narra che un dì / l’Inghilterra fiorì / di audaci cavalier; / il buon re morì / senza eredi e così / agognaron tutti al poter». Chi non ha visto La spada nella roccia? Il capolavoro Disney ha accompagnato generazioni di bambini (e non solo), introducendoli in quel «guazzabuglio» – così lo definisce Merlino – che siamo soliti associare al Medioevo. Intendiamoci: un Medioevo incantato, buffo e caotico, ma al tempo stesso carico di mistero. «Quisquilie e pinzillacchere» a parte, di quel Medioevo, la leggenda di Artù costituisce la quintessenza. Un re forse vissuto, forse no, la cui vicenda non ha mai smesso d’infervorare l’immaginario collettivo. Dall’epopea celtica ai romanzi cavallereschi, dalla mistica del Graal alle rivisitazioni contemporanee, il mito arturiano ha attraversato i secoli con una forza evocativa inesauribile.
Nipote di Ambrosio Aureliano, un generale romano che, dopo l’abbandono della Britannia, nel corso del V secolo, aveva assunto il comando contro le invasioni degli Angli e dei Sassoni; figlio di Uther, soprannominato “Pendragon” (“testa di drago”), distintosi per il proprio valore in battaglia, Artù era stato concepito nel corso d’una notte galeotta, trascorsa da questi con la bella Igraine, moglie di Gorlois, duca di Cornovaglia. Per averla, Uther aveva dichiarato guerra a quest’ultimo. Approfittando della sua assenza, dovuta alla partecipazione a un assedio, s’era recato presso la donna, assumendo, grazie alle arti magiche di Merlino, le fattezze del proprio rivale, morto quella stessa notte. Cresciuto dal nobile Ector, il piccolo Artù aveva ricevuto un’educazione cavalleresca. La scomparsa di Uther, quando questi aveva sedici anni, gettò la Britannia nello scompiglio a causa della mancanza d’un legittimo erede. Fu Merlino a suggerire al vescovo di Canterbury di riunire nel giorno di Natale i baroni del regno nella più grande chiesa di Londra, così da giungere a un accordo sulla successione. Al termine della funzione, l’assemblea si recò nel vicino cimitero, dove si ergeva una roccia quadrangolare, nel cui mezzo era collocata un’incudine d’acciaio in cui era stata conficcata una spada. Su di essa era possibile leggere, in lettere dorate: «Colui che estrarrà questa spada dalla roccia e dall’incudine è il legittimo re di tutta l’Inghilterra». Fu una prova per molti, un trionfo per uno solo. Il giovane Artù, con gesto inaspettato e prodigioso, liberò la spada, venendo acclamato re di Britannia.
Questa, in breve, la leggenda, sulla quale s’innesteranno innumerevoli episodi. Inevitabile, la domanda: siamo di fronte a un personaggio storico? In molti hanno tentato una risposta. Quella fornita da Francesco Marzella, Honorary Research Associate presso l’Università di Cambridge, nel suo Re Artù. Una biografia (Laterza, pagine 224, euro 19,00) potrebbe apparire sorprendente: è davvero possibile spogliare un racconto cristallizzatosi nel mito dei suoi tratti caratteristici? E se anche si riuscisse nell’impresa, cosa resterebbe? Un nome tra molti. Un frammento di cronaca sepolto tra le pieghe del tempo. Un’eco lontana destinata a perdersi nell’oblio. No. Il mito non si nutre di certezze. Sopravvive perché parla all’immaginario. Si adatta. Si rinnova. Proprio in questa capacità di trasformazione risiede la sua forza: non un residuo del passato, ma una narrazione in continua rielaborazione, modellata dalle esigenze e dalle aspettative di ogni epoca. Che cosa ricavarne, allora? Forse, degli archetipi. Artù incarna il sovrano giusto, colui che regna con saggezza e virtù, garante della pace e dell’ordine, ma anche dell’utopia di un mondo più nobile. Il regno di Camelot, specchio ideale della società cortese, è fragile e destinato a crollare sotto il peso delle debolezze umane, dell’ambizione e del tradimento. È il destino di ogni sogno di perfezione, ed è questo che lo rende così umano. La Tavola Rotonda ne rappresenta il fulcro simbolico: uno spazio in cui il potere si esercita non in forma gerarchica, ma circolare, fondato sulla lealtà e sulla condivisione di ideali.
Un’utopia politica e cavalleresca che, proprio per la sua radicalità, è destinata a infrangersi contro le contraddizioni della realtà.
Più che inseguire prove materiali, Marzella mostra come la vera esistenza di Artù sia quella letteraria: il suo regno è un’idea, un simbolo, più che un fatto storico. Siamo di fronte, insomma, a una “biografia letteraria”, a una narrazione stratificata, volta a esplorarne le radici profonde. Egli indaga l’evoluzione della leggenda dalle sue origini celtiche fino alle grandi narrazioni medievali, mettendo in luce il processo attraverso cui un possibile sovrano britanno sia andato trasformandosi in un simbolo di giustizia e potere. Attraverso una narrazione colta ma accessibile, guida il lettore nei meandri della narrativa arturiana, dal De excidio Britanniae di Gildas al De gestis Britonum di Goffredo di Monmouth, fino ai cicli cavallereschi che hanno consacrato Artù nell’immaginario collettivo. A differenza di altre saghe, quella bretone non si nutre solo di eroismo guerriero: al centro della narrazione non vi è lo “scontro tra civiltà” (come nel ciclo carolingio, dominato dalla lotta contro i Saraceni), ma un’avventura interiore, un viaggio simbolico che porta il cavaliere a confrontarsi con sé stesso e con i limiti della propria condizione. È il motivo della “cerca”, la spinta a superare l’umano attraverso prove e sacrifici – che sia l’impresa della spada nella roccia, la fedeltà a un codice cavalleresco o l’eterna ricerca del Graal –, a sancirne il successo. Re Artù, insomma, abbraccia una prospettiva nuova. Attraverso un’analisi rigorosa e una narrazione avvincente, l’autore invita a riflettere sulle complesse interazioni tra storia e leggenda. Un libro che merita di essere letto da chiunque sia interessato a esplorare le radici del pensiero europeo e a comprendere come le storie del passato continuino a plasmare l’immaginario del nostro presente, mostrando quanto il mito sia capace di trascendere il tempo.

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