No, non tutta l’arte è “contemporanea”
Lo schiacciamento sull’attualità genera un panorama indistinto che ignora le specificità: senza una griglia cronologica e geografica non è possibile costruire una conoscenza critica degli eventi

Pubblichiamo l’introduzione del libro di Andrea De Marchi L’arte del Quattrocento (pagine 322, euro 36,00) pubblicato da Einaudi. Il libro ripercorre in sequenza cronologica gli esiti figurativi dei primi cinquant’anni del Quattrocento italiano, proponendosi di restituire l’avvicendarsi di opere e artisti in precise interazioni e conseguenze.
Chi insegna storia dell’arte all’università percepisce come, di anno in anno, sempre più labile diventi nei giovani la consapevolezza sia della diacronia sia della geografia. Lo schiacciamento sull’attualità, indotto anche dalla perdita di orizzonti di senso e di fiducia nel futuro, comporta di complemento l’illanguidirsi della memoria e il venir meno dell’interesse stesso per il nostro passato, plasticamente intellegibile solo con un’acuta conoscenza delle sequenze temporali e dei chiaroscuri conseguenti. Sembra sempre più difficile far capire quanto sia importante lo sforzo di rivivere il passato rimettendo le cose al loro posto, nel loro preciso ordine diacronico, ambientandole in luoghi ben caratterizzati e in congiunture che cambiarono di continuo. In un mondo globalizzato, dove tutto è al contempo vicino e lontano, paradossalmente anche la fondamentale immaginativa di georeferenziazione sfoca in percezioni approssimative e fluttuanti. Banalmente, non c’è più la consuetudine a leggere e usare una mappa geografica, i percorsi sono semplici funzioni delle interrogazioni di Google Maps e del Gps. Il problema non è però solo nozionistico, è strutturale. Il problema è capire l’utilità di una griglia diacronica e geografica, da costruire mentalmente a partire da alcuni punti fermi. Capire come solo avendo ben chiara tale griglia si possa attivare positivamente l’immaginativa storica, in maniera anche autonoma e propriamente critica, intuendo le interferenze, le analogie e le diversità, le influenze e le filiazioni, le successioni, gli snodi, le cesure, i tempi diversi a seconda dei luoghi e dei contesti, i ritmi diseguali della storia, fatta di accelerazioni e risacche. Questo libro vuole offrire allora una semplice guida per ripercorrere le straordinarie vicende figurative del Quattrocento italiano, seguendo passo passo le sequenze cronologiche, nella speranza di indurre ad assimilarle in profondità, con autentica comprensione dell’incalzante avvicendarsi di opere e artisti in precise interazioni e conseguenze, del mutare delle situazioni e delle congiunture. L’obiettivo è quello di far maturare la consapevolezza che una precisa griglia cronologica e geografica non è questione meramente mnemonica, è la modellazione di fondo di una struttura cognitiva globale, è condizione preliminare di qualsiasi tentativo di interpretazione. Questo libro è organizzato per rigorosi tagli cronologici, offrendo una rassegna scandita decennio per decennio, come vestendo i panni di un cronista contemporaneo accorto e avveduto, con lo sguardo largo, ma essendo criticamente smaliziati per la distanza e il senno di poi. L’impostazione può ricordare la decade-by-decade structure adottata dal recente manuale di Stephen J. Campbell e Michael W. Cole, A New History of Italian Renaissance Art, che riflette alcuni orientamenti dominanti nel mondo accademico anglosassone (edizione italiana L’arte del Rinascimento in Italia. Una nuova storia, Einaudi, 2015). In realtà si pone agli antipodi. Quel libro usava la griglia cronologica come grimaldello per destrutturare il senso organico di processi che si sviluppano nel tempo, trasformandola in pretesto per sfondamenti sulla longue durée e su problematiche trasversali. Al fondo era un libro costitutivamente anti-vasariano, destrutturato e destrutturante. Certe degerarchizzazioni non sono nuove, ma sono sicuramente salutari. Per esempio quella – giustamente avversa a Vasari e al suo toscano-centrismo – che valorizza il policentrismo, quella variegata geografia artistica e culturale del Rinascimento italiano, incentivata dalle identità civiche e dalla competizione tra le corti, cui ci hanno educato gli studi seminali di Roberto Longhi e di Carlo Dionisotti. Non meno salutare è uscire da un arido nozionismo evenemenziale, esercitare uno sguardo comprensivo su tutti quegli aspetti di ricontestualizzazione delle opere d’arte, a livello materiale, visivo, spaziale, tipologico, funzionale, sociale e quindi culturale in senso pieno, uscendo dalle secche dell’arida contrapposizione fra puro attribuzionismo e pura iconologia. Questo libro è invece programmaticamente e orgogliosamente figlio della tradizione storiografica nata con Giorgio Vasari, che ritengo oggi più che mai attuale e feconda, con tutti gli incrementi e i correttivi del caso. Oggi più che mai c’è esigenza di quadri di riferimento strutturati, nel tempo e nello spazio, e quindi graduati criticamente, gerarchizzati. Solo se si misurano le distanze e si valutano le differenze ci si può avvicinare a una comprensione di quei complessi processi dialettici alla base del valore specifico, nel suo tempo e nel suo contesto, di ogni creazione artistica. La struttura delle Vite, l’articolazione potente in tre “età”, ognuna superamento della precedente, dalla fine del Duecento al primo Cinquecento, genialmente dava un senso e quindi trascendeva in una visione superiore l’apparente schematismo elencativo, prosopografico e biografico. Non si tratta di riproporre un teleologismo univoco, del tutto anacronistico, perché anzi si deve rendere conto anche delle contestazioni e degli anacronismi, delle ibridazioni e delle false partenze, delle strade abbandonate e delle alternative perdenti; ma per fare ciò bisogna recuperare il senso di processi dialettici, via via scanditi nel tempo, animati da una tensione sotterranea dominante che nel Quattrocento italiano obiettivamente era quella di una progressiva messa a fuoco di sfide mimetiche sempre maggiori, sempre più persuasive e coinvolgenti, dalla resa spaziale e luministica a quella dei “moti dell’animo” leonardeschi, e di una crescente strutturazione razionale della forma, nei termini di disegno e composizione. Si è già parlato di “tempi diversi a seconda dei luoghi e dei contesti”. Questo libro non intende focalizzarsi solo sui fatti maggiori, ma tenta di raccontare, almeno per scorci improvvisi, l’infinita varietà anche di realtà minori, eppure dotate di una loro fisionomia. Non si ha spesso piena consapevolezza di quanto le radicali innovazioni, elaborate soprattutto a partire da Firenze e dalla Toscana nei primi decenni del Quattrocento, fossero isolate nel complessivo panorama italiano, dove si perseguivano in prevalenza valori di ricchezza materica e di esibizione analitica di tutt’altro timbro, ancora in linea con la dilagante e perdurante diffusione in tutta Europa dei modelli del gotico internazionale. Le biografie di contemporanei illustri scritte dallo spezzino Bartolomeo Facio, alla corte napoletana di Alfonso d’Aragona, poco oltre la metà del secolo, sono indicative dei valori di riferimento egemoni nel mondo che più contava, quello degli umanisti e delle corti: se per la scultura si riconosce l’eccellenza di Lorenzo Ghiberti e di Donatello, per la pittura i campioni prescelti sono Gentile da Fabriano e Pisanello, Jan van Eyck e Rogier van der Weyden: nemmeno l’ombra di Masaccio o dell’Angelico, di Fra Filippo Lippi o di Paolo Uccello, di Domenico Veneziano o di Piero della Francesca. Le velocità di acculturazione erano assai differenziate, a seconda dei luoghi e dei contesti, ma anche a Firenze stessa, in relazione ad ambiti diversi di committenza. I tagli decennio per decennio permettono di fotografare queste diverse velocità, di rendere plasticamente il “non contemporaneo del contemporaneo”. I nostri maestri ci hanno educato a riconoscere le vie maestre delle innovazioni vincenti, a costruire le periodizzazioni sulle grandi cesure. L’apprezzamento anche di valori divergenti non è però in contraddizione con l’enfasi sulle cesure innovative, ne è anzi un complemento indispensabile. Così come ci si avvicina ai grandi cominciando a studiarne i riflessi nei minori, anche dalle resistenze e dalle dissonanze si arriva a comprendere la portata delle sperimentazioni più radicali e fondanti. Un simile approccio si spera possa allora concorrere a una comprensione autenticamente dialettica e polifonica della storia.
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