Le storie di chi durante il Covid ha scoperto il trascendente

Uno studio dell’Università del Galles Trinity Saint David insieme con il Center for Mind and Culture di Boston ha evidenziato tante esperienze religiose vissute dalle persone al tempo del Covid
June 11, 2025
Le storie di chi durante il Covid ha scoperto il trascendente
undefined | Malati negli ospedali nel tempo della pandemia
Il testo che presentiamo è un estratto del saggio pubblicato su “Revista Sociedade e Estado” (Brasile, 2024). Bettina E. Schmidt è professore di Studi delle religioni e direttrice del Centro di ricerca sull’esperienza religiosa Alister Hardy presso l’Università del Galles Trinity Saint David. È una delle relatrici al convegno “Spiritualità e guarigione” che si tiene dal chiude oggi a Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore, per iniziativa del Centro Studi di Civiltà e Spiritualità Comparate della Fondazione Giorgio Cini.
Nel 2020, il mondo si è improvvisamente fermato. In risposta alla rapida e scioccante diffusione del Covid-19 in tutto il mondo, i governi chiusero le frontiere, le scuole, gli uffici e i negozi, imponendo un lockdown improvviso ai cittadini. Anche le comunità religiose furono invitate a chiudere le porte, lasciando molti fedeli in isolamento sociale a doversela cavare da soli. Le ricerche hanno da tempo evidenziato l’impatto positivo della partecipazione alle comunità religiose sulla salute mentale e sul benessere. Tuttavia, quando le porte vennero chiuse e le possibilità di incontri in presenza furono limitate, anche il senso di comunità e il supporto personalizzato ne risentirono. Trasferire i rituali religiosi online sembrava ridurre la qualità dell’esperienza rispetto all’effetto dello stare insieme nello stesso spazio fisico. Sebbene il lockdown abbia contribuito a salvare vite e ad alleviare almeno in parte la pressione sui servizi sanitari, mentre la ricerca medica si concentrava sullo sviluppo dei vaccini contro il virus, ciò non avvenne senza costi, come l’isolamento sociale e la solitudine. Durante la prima fase della pandemia, un giornalista della Bbc ha risposto in modo sprezzante a un intervistato che sosteneva di aver avuto un’esperienza religiosa mentre si trovava in ospedale con il Covid-19. Da lì è nata l’idea di una ricerca sulle esperienze “non ordinarie” vissute dalle persone, comprese percezioni o sensazioni, visive, uditive, fenomenologiche o fisiche, che si discostano dalle percezioni ordinarie della vita quotidiana. Queste esperienze sono talvolta liquidate come frutto di una vivida immaginazione, malfunzionamenti cerebrali o effetti collaterali di sostanze. Anche coloro che le vivono spesso non sanno come spiegarle. Sebbene siano riportate in tutto il mondo e nel corso della storia, in tutte le culture e religioni, esiste una certa reticenza a scriverne o parlarne in contesti accademici.
La ricerca è stata condotta dal Religious Experience Research Centre dell’Università del Galles Trinity Saint David (Uwtsd), in collaborazione con il Center for Mind and Culture di Boston, Massachucomunità setts. Abbiamo creato un questionario anonimo con l’obiettivo di raccogliere racconti narrativi di esperienze religiose, spirituali o comunque non ordinarie vissute mentre le persone durante la pandemia. I partecipanti erano incoraggiati a descrivere le loro esperienze spirituali con il maggior numero di dettagli. Il questionario chiedeva inoltre in che modo l’esperienza avesse influenzato le loro prospettive, il comportamento, le relazioni con familiari e amici, i progetti futuri e il rapporto con la propria spirituale o religiosa, se ne avevano una. Abbiamo anche incluso una serie di domande tratte da inventari fenomenologici e quesiti sull’impatto che queste esperienze avevano avuto sulla loro vita e visione del mondo. Il questionario è stato diffuso online tramite post sui social media e ha ricevuto risposte da tutto il mondo, inclusi Nigeria, Ucraina, Pakistan, Australia, Stati Uniti, Nicaragua, Regno Unito e Finlandia.
In seguito alle prime presentazioni di questa ricerca, altre persone ci hanno contattato esprimendo il desiderio di contribuire allo studio in corso condividendo le proprie esperienze. Uno, ad esempio, ci ha scritto: « Durante il lockdown, in isolamento a **** Park, ho vissuto qualcosa di così profondo che posso solo descriverlo come beatitudine divina. Il rumore del mondo si era fermato. Anche il rumore nella mia testa si era fermato. Semplicemente ero. […] Mi sentivo in uno stato di consapevolezza pura e non filtrata. La prima volta durò alcune ore, e desideravo riviverla. Così ho continuato a meditare, a camminare. È successo ancora, e ancora. È successo qualcosa di profondo». La nostra ricerca ha rivelato una varietà di esperienze, dall’incontro con la beatitudine divina alla rabbia, in risposta alla minaccia della malattia, alla paura della morte, alle restrizioni del lockdown e all’isolamento sociale. Alcune erano esplicitamente legate a contenuti religiosi, altre erano sensazioni di intensità, tutte includevano processi di attribuzione di significato utili a modellare la loro comprensione del vissuto.
In assenza di una comunità spirituale in cui ci si possa sentire abbastanza al sicuro da condividere la propria esperienza e intraprendere un processo di attribuzione di significato e di integrazione, le persone si trovano talvolta a dover affrontare queste esperienze da sole. I sociologi e gli antropologi hanno una lunga tradizione nell’analisi di visioni del mondo. Attraverso incontri etnografici con varie culture, hanno raccolto racconti di interazioni con fenomeni che vanno oltre la concezione materialistica e bio-medica dei corpi umani e della realtà fisica, tipicamente adottata in ambito accademico. Tuttavia, gli studiosi sono vincolati a una posizione di oggettività razionale. Ciò rende le esperienze religiose o le emozioni soggetti meno frequenti di analisi sociologica. Eppure, questa esitazione, pur legittima, ha talvolta impedito agli studiosi di esplorare una dimensione essenziale della religione. In realtà dovremmo riconoscere le realtà sociali e psicologiche dell’esperienza religiosa senza abbandonare domande e preoccupazioni di validità empirica. Per questo, un numero crescente di sociologi e antropologi sta mettendo in luce la natura etnocentrica dell’approccio alla ragione e alla razionalità sviluppatosi nel periodo post-illuminista.

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