La litania poetica di Baudelaire, maledetta salvezza

Oggi i social amplificano la scaltrezza dei boiardi del pensiero e la banalità dolciastra. Per questo serve come non mai il tormento di versi non consolatori
August 28, 2025
Chi crede di poter dire qualcosa del morbo più disfunzionale e raro mai emerso dalle incontenibili Everglades di questo mondo, dovrebbe prima immergersi in Bénédiction di Charles Baudelaire, come una litania salvifica e necessaria prevenzione. A me ha restituito un quanto di speranza e buon umore con il suo succo acido capace di sgrassare via la panna rancida della banalizzazione fatta sistema sversata senza ritegno su ogni sorta di logorrea ampollosa che il megafono distorto della dissimulazione social amplifica a dismisura. La storia è sempre stata territorio di conquista per mestieranti di ogni genere, burocrati del pensiero, boiardi dell’esametro dattilico, utili devoti dal buonsenso calcolato che credono di poter accedere ai regni misteriosi con la disciplina avveduta e strumentale alla carriera da funzionario del pensiero. Realisti più realisti del re, il cui lavoro è assemblare i relitti superficiali di intuizioni profonde parassitandole con l’occhio predatorio del giullare scaltro in costruzioni di buon senso, forbite quanto basta, del tutto prive di quella fiamma cui aspirano e che immaginano come mottetto grammaticale da recitare qui e là. Van Gogh e sir Lawrence Alma-Tadema, il dittico Mozart - Salieri, la relatività generale e la cosmogonia glaciale ariana di Hanns Hörbiger, Fernando Pessoa e Wilbur Smith, ossimori eccellenti di un dialogo impossibile.
Molti, a livelli diversi, considerano la poesia una raccolta di frasette più o meno originali il cui fine è dar voce a qualche morale della favola, didascalia di piccole convinzioni interessate. Lei mirabile sgangherata, inadatta composizione che trasmuta il difetto irredimibile nel nettare pungente e velenoso che giustizia la supponenza delle velleità. Ci mette del tempo, ma il tempo non è una sua categoria. Monstre rabougri, arbre misérable, non produce consolazioni facili per anime belle che aspirano all’applauso del mondo, le tormenta con i suoi boutons empestés, non è utile al progetto della convivenza, esclusa dalle sue trame a causa di quel destino che induce il ribrezzo della madre e la derisione del mondo. Non ha un genere, cecità assediata dalla condanna inestinguibile di una vista non richiesta, abbaglio nel buio, gestazione precoce di mondi alieni puntualmente abortita sul terreno impervio della innata, insistente ferocia umana, si fa strada per un miracolo misterioso e ingiustificabile tra i meandri delle grammatiche che calpesta rivelandone il baratro di pedanteria. Non è un prodotto da talk show né tantomeno strumento di consenso, è la vergogna profonda della debolezza senza appello che trova riscatto inatteso in una partitura di parole che per magia inspiegabile rimane, permane, uccide il suo tramite, lo surclassa, infine lo ripudia e lo giustizia.
Trovo profondamente liberatorio il destino infame del mostro grinzoso che attesta come un marchio a fuoco la differenza che fa sperare, al mio orecchio suona come la Primavera di Vivaldi, auspicio che, da qualche parte, sotto il velo impenetrabile delle ipocrisie che presentandosi come cura devastano lo spirito umano, ci sia qualcosa di risolutivo, finale. Il proclama del banditore è un insulto lacrimoso alla amputazione sublime che sottrae contatto con il mondo, tara riconoscibile solo attraverso i suoi sintomi, disabilità funzionale che ha come ricompensa uno sguardo furtivo, veloce il tempo di una vita, dal buco della serratura del mistero inaccessibile, luogo di armonie amare e luci abbaglianti, notte perenne, amica di chi è stato affidato da un destino tragico alla bussola imperscrutabile delle sibille. Inciampo per l’aratro impassibile che scava senza sosta la sua traccia, indifferente al pianto, al riso, alla morte, alla sofferenza, alle tragedie di grandi e piccoli, ai massacri, al fiorire convulso di città future, al loro sprofondare nell’abisso insieme a chi le abita su cui risorgono nuovi mondi nutriti di prepotenza e rovine cui viene deliberatamente negata la memoria. Impurità di resistenze vane che seduce la morte e alla morte cede. Residuo di illusioni che pulsa dello spreco cui affidiamo una speranza confusa cui di tanto in tanto qualcuno sembra concedere il lusso superfluo dell’armonia perfetta che regala al lamento il decoro della festa, per un istante. Sottile nebbia preziosa nella mezz’aria di un orizzonte chiuso, conforto di chi è già fuori da questo mondo da prima della nascita che la madre di Baudelaire non finirà di maledire. Chi aspira al suo tocco deve sperare di non essere mai esaudito, per non trasformarsi in statua di sale. Confuse disperate resistenze, ferita infetta, inutili fatiche disperse nell’oblio di speranze atroci, amanti perfide che succhiano la linfa fino all’ultima goccia, di vana omissione, seduci ogni morte e alla morte cedi. Poesia, maledetta salvezza.

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