Ivanov, il simbolista russo che respirò l'Europa a due polmoni

di Marco Roncalli
Escono una biografia e un'antologia sul poeta e filosofo, allievo di Solov'ëv. In nome della religione reagì alla crisi dell'umanesimo. E nel 1926 divenne cattolico.
October 7, 2025
Ivanov, il simbolista russo che respirò l'Europa a due polmoni
Il poeta e filosofo Vjaceslav Ivanov (1866-1949)
Storico, poeta, filologo, filosofo, teologo, discepolo di Vladimir Solov’ëv, a sua volta corifeo di una generazione che spese l’eredità solovieviana su una nuova strada: quella del simbolismo, per lui chiave per entrare in ogni espressione dell’anima umana. Lui è Vjaceslav Ivanov, esponente di rilievo nell’ “Età d’Argento”- primi decenni del XX secolo - della cosiddetta “filosofia religiosa russa”. Un originale pensatore dell’Oriente e dell’Occidente, che voleva un cristianesimo capace - secondo la sua stessa espressione cara a Giovanni Paolo II - di “respirare con i due polmoni”: quello romano-latino e quello bizantino-slavo, entrambi necessari per incarnare il cristianesimo universale e il vero spirito europeo.
Ad offrirci l’occasione per tornare su di lui è l’uscita di due volumi: una biografia in inglese e un’antologia di scritti mai pubblicati in Italia. La prima s’intitola Viacheslav Ivanov: A Symbolist Life (Columbia University Press, pagine 736, euro 46,00) magnum opus di Michael Wachtel, russista all’ Università di Princeton. L’opera - che viene presentata oggi alle 11,30 nella Biblioteca nazionale centrale di Roma (con l’autore interverranno fra gli altri Andrej Shishkin, Stefano Garzonio, Stefano Caprio) - torna sulle orme di un percorso straordinario snodatosi metà nell’area di influenza russa (da Pietroburgo, dove nel suo appartamento - “la Torre”- s’incontravano i maggiori intellettuali della Russia prerivoluzionaria, a Baku in Azerbaigian dove insegnò) e metà fuori: Germania, Svizzera, Inghilterra, Grecia, Francia, Italia. Per fermarsi infine a Roma, salvo lunghi periodi a Pavia dove, tra il Collegio Borromeo e l’Università, tenne lezioni a partire dal 1926: l’anno della sua singolare “conversione” al cattolicesimo in San Pietro, seguendo la liturgia paleoslava e senza abiura formale della Chiesa ortodossa.
Come Nietzsche - di cui ammirava l’opera - Ivanov aveva cominciato studiando l’antichità alla scuola di Theodor Mommsen, poi si era dedicato soprattutto alla poesia scrivendo liriche, oltre che in russo, in lingue antiche e moderne. Wachtel, nelle sue pagine, riesce a fare molto. Rende conto di ogni tappa della sua avventura umana e spirituale, della sua rete di relazioni (Blok, Berdjaev, Achmatova, Lunacharskij, Kamenev, Prokof’ev, Gentile, Pio XI, Buber, Croce, Maritain, Gallarati Scotti, don de Luca...). Ne rivela aspetti meno noti: come certe pratiche legate all’occultismo; scava nella vita privata riferendo sui suoi tre matrimoni: l’ultimo con la figliastra. Inoltre, tiene sempre sullo sfondo il contesto storico. A partire dal periodo postrivoluzionario quando Ivanov a Mosca collaborava con il Commissariato per l’Istruzione del popolo, sino al periodo italiano, iniziato nel 1924 quando arrivò a Roma per fondare un’Accademia. Ben consapevole che «l’assenza della Russia da quell’arena» appariva «come una sorta di auto-esclusione volontaria dalla civiltà contemporanea e come una conferma indiretta delle false voci sul declino della nostra cultura». Un progetto che non gli riuscì, costringendolo a lavorare tra la città eterna e Pavia, e di nuovo a Roma, docente presso il Pontificio Istituto Orientale. Un quarto di secolo nel nostro Paese per lui conclusosi con la morte, avvenuta il 16 luglio 1949 nella sua ultima residenza sull’Aventino, dove oggi rimangono il suo archivio, la sua biblioteca, i suoi manoscritti.
A proposito delle opere ecco in libreria, come accennato, Viaggiando tra le stelle a cura di due specialisti: Maria Candida Ghidini e Andrej Shishkin (Morcelliana, pagine 432, euro 34,00). Introdotta da Stefano Caprio (qui anche traduttore con Donata Gelli Mureddu, Vladislav Uminski e la stessa Ghidini), l’antologia riporta saggi ivanoviani mai editi in italiano, datati fra il 1904 e il 1947 e riuniti sotto tre ambiti: la teoria del simbolo, la letteratura russa, la modernità. Tre nuclei tematici rappresentativi della produzione di un autore il cui simbolismo sfocia in un’ermeneutica religiosa della realtà, da opporre alla crisi dell’umanesimo moderno. Nel primo, la teoria del simbolo è analizzata in rapporto alla creatività religiosa, nei suoi principi e nelle sue configurazioni realista e idealista, nei rimandi al mito, a canoni antichi, alla mistica medievale; e indagata pure attraverso l’arte: la pittura (Léon Bakst) come la musica (Chopin, Schumann, Beethoven…). Il secondo nucleo scandaglia lo spirito della letteratura russa attraverso Puškin e Lermontov; il Gogol’ dell’opera teatrale L’ispettore generale e il Dostoevskij del romanzo I demoni; Solov’ëv “poeta della Sofia divina” e Andrej Belyi nel suo inclassificabile Pietroburgo, esito del terrore metafisico, assedio alla coscienza europea.
L’ultimo nucleo disegna linee per una morfologia della cultura moderna e una psicologia del mondo contemporaneo, che al pari di filosofi a lui contemporanei, da Spengler a Heidegger, si radica in una sorta di originale personalismo cristiano. Concludono il libro un discorso ivanoviano sugli orientamenti dello spirito moderno tratto da una sua conferenza a Sanremo nel 1933, un saggio di Fedor Stepun, esule sodale di Vjaceslav qui visto da vicino; nonché una cronaca documentata della vita e delle opere di Ivanov redatta da Shishkin che da decenni tiene accesi i riflettori su questo protagonista del ‘900 la cui lucidità appare ancor oggi tragicamente attuale.

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