In un calice di 4mila anni fa l'origine dell'universo
Le decorazioni di un piccolo calice d’argento di 4mila anni fa potrebbero rappresentare la prima narrazione cosmologica della storia

Un piccolo calice d’argento di 4.000 anni fa, decorato con enigmatiche scene incise su di esso, torna al centro del dibattito archeologico: potrebbe rappresentare una delle prime narrazioni cosmologiche della storia. È quanto sostiene un nuovo studio pubblicato sul Journal of the Ancient Near Eastern Society – Ex Oriente Lux, che propone una lettura radicalmente diversa delle illustrazioni sul cosiddetto calice di Ain Samiya, scoperto nel 1970 sulle colline della Giudea, in Cisgiordania. Per oltre mezzo secolo gli studiosi hanno ipotizzato che le figure incise sul reperto richiamassero l’Enuma Elish, il grande poema babilonese della creazione. Ma il mito, composto intorno al 1200 a.C., è di circa mille anni posteriore alla realizzazione del calice, datato all’Età del Bronzo Intermedia (2500–2000 a.C. ca.). Un periodo affascinante e poco documentato, caratterizzato — secondo gli archeologi — da società in gran parte nomadi e da un’insolita scarsità di insediamenti stabili nel Levante meridionale (in termini moderni, l’area include Israele, Palestina (Cisgiordania e Striscia di Gaza), Giordania occidentale e talvolta il Libano meridionale e il Sinai nord-occidentale, a seconda delle definizioni). A rendere il manufatto ancora più singolare è il fatto che si tratta dell’unico oggetto di lusso in argento noto per quell’epoca nella zona. «Nonostante ciò», come osserva l’archeologa Susan Cohen della Montana State University, «chiunque lavori sull’età del bronzo del Levante meridionale conosce questo oggetto. È presente in ogni manuale, soprattutto perché è unico».
Il calice, alto appena 8 centimetri, mostra due composizioni distinte: una con un essere ibrido uomo-animale accompagnato da un serpente; l’altra con due figure antropomorfe, un serpente e una forma solare posizionata sopra un oggetto simile a una mezzaluna. Gli scopritori del reperto interpretarono l’insieme come un’eco iconografica dell’eterna lotta tra ordine e caos descritta nei miti mesopotamici. Ma il nuovo studio propone un’ipotesi diversa: l’oggetto a forma di mezzaluna sarebbe una “barca celeste”, simbolo ben attestato nel Vicino Oriente antico come veicolo divino del Sole e della Luna nel loro viaggio quotidiano attraverso il cielo. Rappresentazioni affini compaiono, per esempio, nell’arte ittita e in vari sigilli cilindrici dell’Età del Bronzo.
L’idea di una scena cosmogenetica è stata avanzata dal geoarcheologo Eberhard Zangger, presidente della Luwian Studies Foundation e autore principale dello studio, che racconta di aver riconosciuto il motivo della barca celeste dopo aver lavorato sui rilievi del celebre santuario rupestre di Yazılıkaya, in Anatolia. A suo avviso, la figura ibrida del calice incarnerebbe il caos primordiale, mentre l’altra scena mostrerebbe la nascita di un cosmo ordinato, protetto dalle divinità. Secondo i ricercatori, i temi raffigurati si inserirebbero perfettamente nelle concezioni cosmologiche diffuse nel Vicino Oriente antico, dove la separazione fra caos e ordine ricorre in molti miti — da quelli sumerici alle epopee ugaritiche, fino ai testi biblici più tardi. Lo studio avanza anche un’ipotesi sulla provenienza dell’oggetto: il calice potrebbe essere stato realizzato nella Siria settentrionale, forse da un artigiano legato all’area culturale accadica, dove la lavorazione dell’argento era più diffusa. Zangger collega questa idea alla presenza di un prisma, ossia un manufatto a forma prismatica, di 3.800 anni fa, rinvenuto in Turchia negli anni ’80 ma mai analizzato in dettaglio fino a oggi, che presenta motivi simili, compresa una barca celeste.
Non tutti gli studiosi, però, sono convinti. Mark Smith, biblista del Princeton Theological Seminary, ritiene plausibile che il calice rimandi non all’Enuma Elish, ma a tradizioni alternative come il Ciclo di Baal, il complesso di miti ugaritici del II millennio a.C. dedicati al dio della tempesta. Tuttavia, contesta l’idea che le scene rappresentino necessariamente una cosmogonia: «Non è affatto chiaro che si tratti di un mito della creazione», afferma. Cohen, dal canto suo, invita alla prudenza: un oggetto così isolato, privo di un contesto archeologico ricco e articolato, può facilmente prestarsi a ipotesi affascinanti ma speculative. «Un pezzo unico può essere straordinario da osservare… ma è quasi impossibile inserirlo in un quadro coerente», avverte.
Tuttavia se le nuove interpretazioni venissero confermate, il calice di ʽAin Samiya potrebbe rappresentare una delle più antiche visualizzazioni note del tema cosmico dell’ordine che nasce dal caos — un’idea destinata a influenzare profondamente le religioni e i miti successivi del Mediterraneo e del Vicino Oriente. Resta da capire quale fosse la funzione originaria del manufatto: un oggetto rituale legato al viaggio ultraterreno dell’anima? Un dono funerario simbolico? O semplicemente un bene di lusso decorato con motivi mitologici diffusi all’epoca? Per ora, il piccolo calice continua a sollevare più domande che risposte. E, dopo 55 anni, sembra destinato a rimanere uno dei reperti più intriganti — e più discussi — dell’archeologia levantina.
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