Essere e tempo. Ripensare la metafisica in un'epoca frammentata

Tra fondamento e trascendenza, il tempo torna al centro del pensiero metafisico oltre Heidegger, con tre percorsi: Testimonianza, Alleanza, Essere
October 1, 2025
Essere e tempo. Ripensare la metafisica in un'epoca frammentata
Kurt Tong | Sabato 4 ottobre, nell’ambito della 24ª Esposizione Internazionale Inequalities, Triennale Milano e Moby Dick Festival presentano l’evento “Raccontare le diseguaglianze”. Nella foto un lavoro di Kurt Tong, artista e fotografo di Hong Kong, il cui intervento ripercorrerà una storia di emancipazione femminile
Da oggi al 4 ottobre si terrà a Bologna l’80° Convegno annuale del “Centro di Studi Filosofici di Gallarate” sul tema "Metafisiche e altri saperi". In sintonia con il Congresso Mondiale di Filosofia su "Philosophy across Boundaries", tenutosi a Roma nell’agosto 2024, per il triennio 2023-2025 il Centro ha focalizzato sotto vari aspetti i concetti di “limite” e di “superamento del limite” come tema dell’appuntamento annuale. Pubblichiamo qui un contributo di Philippe Capelle-Dumont, dell’Institut Catholique de Paris.
La metafisica obbliga alla creatività chi la esercita. La sua novità, tuttavia, si trova in ciò che suggeriscono la sua tradizione e le discontinuità di cui è intessuta. Ma per restare vivente, essa deve «aver luogo» e «dare forma al tempo». In linguaggio kierkegaardiano, la sua forza è nella sua «ripresa»: essa ha bisogno di «fondare», ma in modo diverso rispetto alle variazioni storiche di un fondamento non-storico. In alternativa, deve seguire tre percorsi tra loro congiunti.
Il primo percorso consiste in quella che abbiamo potuto chiamare, prendendola in prestito da altri, una «metafisica del verbo essere», cioè non semplicemente una «metafisica dell’essere», che rischierebbe costantemente di rinchiuderci negli schemi logori delle ipostasi. La posta in gioco è di riconoscere il carattere attivo della metafisica e del suo oggetto misterioso, vale a dire ciò che, essendoci, ci precede e ci eccede, e di rispettare il suo gioco temporale. Eraclito lo diceva alla sua maniera: «Il tempo è un bambino che gioca a dadi», (frag. 52). Questa celebre metafora ci istruisce in maniera singolare: lungi da ogni rappresentazione infantile, il tempo è il ‘nativo’, la regola innocente di un destino che sfugge ad ogni calcolo. Il bambino fonda il dispiegamento temporale al di là di ogni pianificazione compiuta dagli adulti; e proprio come lui, il tempo fonda, in un gioco che obbliga l’umano altrimenti, a monte delle determinazioni della sua volontà.
Il secondo percorso è quello di una «metafisica della testimonianza». Articolandosi con la «metafisica del verbo essere», di cui manifesta le carenze, essa si dispiega sul registro propriamente etico: onora l’alterità sorprendente del testimone che viene da lontano, che ha «visto» e «udito». Il concetto di testimonianza che la muove non ha nulla di moralistico, esso attesta che se qualcosa di vero può essere enunciato, non è solamente di fattura storica, ma passa anche attraverso l’«altro», perfino attraverso il «Totalmente-altro» – per riprendere (anche se modificata) una parola di Kierkegaard – e si realizza nell’intersoggettività.
Infine, il terzo percorso che indaghiamo riassume i due precedenti: lo chiamiamo «metafisica dell’alleanza». Esso intende il mondo, gli uomini e il divino su una base linguistica che, paradossalmente, sconvolge ogni concettualizzazione astratta: una temporalità primaria che denuncia ogni teorizzazione del tempo. Così si presenta ai nostri occhi la doppia sfida lanciata dalla metafisica: un omaggio al tempo e un omaggio del tempo. Sospettata di averlo mancato mentre lo accerchiava, di averlo annichilito mentre gli assegnava un significato, la metafisica qui sfugge con un colpo d’ala, compiendo il gesto antico, ma sempre nuovo, dell’Aperto, quello di una trascendenza incontenibile. Posto al cuore delle strategie contemporanee di messa in questione dell’«oggetto» metafisico, il tempo rinnova allora le sue promesse: fondare, ma in altra maniera rispetto al fondamento.
[…] Se la fenomenologia è la scienza dei fenomeni in quanto dati nella disposizione (inevitabilmente) ermeneutica, e se la metafisica è la scienza dei fenomeni in quanto sono o possono essere fondati, la teologia è la scienza dei fenomeni in quanto sono rivelati. Nessuna di esse, però, potrebbe esonerarsi dalla questione del fondamento e affrancarsi da ciò che fonda non solo il loro oggetto, i loro oggetti, ma anche il rapporto con questi oggetti e tra di essi.
La difficoltà si raddoppia nella considerazione che nella teologia – per lo meno in quella cattolica – assume la ‘teologia filosofica’. Se Tommaso d’Aquino ne è stato l’attore magistrale che sappiamo, una tale disposizione ha avuto origine nel II secolo, in particolare con Giustino di Nabus, con la mesa in campo di un’ermeneutica cristiana della filosofia greca – allo stesso tempo critica e positiva –, sotto il motivo cristiano dello «Spermatikos logos»; ma più ancora essa ha avuto origine dal riconoscimento teologico del logos filosofico nella sua perenne attualità. Questo dato, insieme germinale e tradizionale, non impedisce di distinguere ma impedisce di separare la determinazione metafisica e quella rivelata della teologia. Si tratta quindi di una tradizione teologico-cristiana della metafisica.
La seconda considerazione principale riguarda il fatto che, se lo spazio secolare del pensabile è stato tracciato dalle due polarità disciplinari della filosofia e della teologia, l’autonomia metodologica delle scienze della natura tra XVI e XVII secolo ha favorito tra loro un nuovo spazio di «tensione competitiva», dov’è in gioco lo statuto della ragione. È in questa nuova costellazione che è stato riconsiderato, in un compito che però non è stato portato a termine, lo statuto di ciò che bisogna legittimamente chiamare la «ragione teologica».
In quest’ottica, è possibile collegare la retrocessione «moderna» e secolare della teologia alle sovrapposizioni lessicali alle confusioni semantiche di cui essa è stata e continua ad essere oggetto. Così, da una parte, essa si trova applicata alla diversità delle confessioni religiose (che a volte la rifiutano) o alla diversità delle teologie cristiane, come se le sfere di significazione delle une e delle altre potessero essere ricondotte all’univocità; dall’altra parte, la teologia si trova indebitamente posta su un registro sinonimico dove intervengono, in senso equivalente, e purtroppo comunemente, i concetti di religione, di credenza, di mistica o di eteronomia. […] A monte e attraverso le sue molte metamorfosi, la teologia cristiana ha potuto vedere la luce in virtù dell’incontro fattuale tra il messaggio evangelico e la filosofia greca, pur essendo primariamente ispirata dalla Bibbia ebraica. Ma il materiale ebraico e il materiale cristiano si distinguono come tali e in senso eminente da ogni tradizione religiosa, in quanto sono per principio di fattura storica, più precisamente di fattura progressiva. La minima citazione testuale in questo ambito che non si inscriva nella sua economia, non può pretendere di dar luogo a un atto ermeneutico.
Il fatto che la teologia nel Medioevo abbia preteso di essere non solo una «scienza», ma la «regina delle scienze» – e questo grazie alla ripresa dell’ordine aristotelico dei saperi, che culminava nella teologia filosofica – si è trasformato in una rivalità, a volte mimetica, verso le scienze fisico-matematiche, ma anche verso le nascenti scienze storiche. Bisognerebbe allora rilevare [...] i differenti tipi di mediazioni storiche attraverso cui l’equazione medievale tra teologia e scienza si è progressivamente dissolta, come il passaggio a una teologia declericalizzata, o ancora il divario crescente tra saggezza e sapere, o ancora non ultima la perdita da parte di Lutero, e con lui di Cartesio, della rappresentazione analogica del rapporto Dio-Mondo. […] Richiamiamo a titolo di esemplificazione, due problemi di natura differente, uno linguistico e l’altro speculativo, che «lavorano» al cuore della relazione di cui ci occupiamo. […] Il primo problema concerne i registri linguistici […] Il secondo problema concerne lo statuto della verità come nozione secolarmente e diversamente connessa alla metafisica e alla teologia.

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