Classici da tramandare in un’epoca complicata che ormai cancella
Un saggio di Braccini racconta come testi dell’antichità siano sopravvissuti a traversie di ogni tipo. Per arrivare a un oggi che ne mette in discussione l’attualità

Uno dei volti più preoccupanti della cosiddetta cultura della cancellazione riguarda i classici e si è manifestato soprattutto nelle università americane, con episodi sgradevoli che hanno riguardato i grandi autori dell’Antichità, da Omero a Ovidio, che molti docenti e studenti hanno chiesto di non insegnare e studiare più, o quantomeno di censurare in quei passi ritenuti offensivi per la sensibilità odierna. Chi scrive preferisce ricordare quanto scriveva il grande poeta francese Charles Péguy: «Omero è nuovo stamattina, e niente è forse tanto vecchio quanto il giornale di oggi». In altra occasione annotava: «I Greci non hanno avuto gli dèi che si meritavano». Basta prendersi in mano l’opera di Simone Weil I greci e le intuizioni precristiane per rendersi conto del valore straordinario dell’Iliade, che per la filosofa francese rappresenta il poema della forza e della sventura. I personaggi di Omero, sia vincitori che vinti, sono tutti vittime della violenza della sorte: «Il poeta dell’Iliade ha sufficientemente amato Dio per avere questa capacità. È questo il significato implicito del poema e l’unica fonte della sua bellezza. Ma non lo si è affatto capito». Il cantore cieco ci ha tramandato un’opera attualissima, quasi un commento alle nostre vicende anche secondo Sylvain Tesson, basti pensare al mondo di oggi dilaniato dai conflitti o alle catastrofi naturali che ci spaventano: «Ogni evento contemporaneo trova eco nei suoi versi». Ed è un peccato che lo studio del mondo greco e latino abbia subito una pesante battuta d’arresto negli ultimi decenni: «Un manipolo di ideologi – commenta il giornalista e scrittore – incaricato di riformare la scuola, è riuscito a dissanguare gli studi classici. Per loro le “lingue morte” sono un prodotto di nicchia». Dimenticando che dal mare nostrum è sgorgata una delle sorgenti della nostra Europa, figlia tanto di Atene quanto di Gerusalemme. Ma Omero è ancor più attuale perché ci parla dell’uomo, delle sue bramosie e lotte per il potere, così come della pietà e dell’ospitalità: si pensi all’incontro tra Achille e Priamo o allo sbarco di Ulisse tra i Feaci. Come dice Hannah Arendt, ciascuno degli eroi di Omero assurge a simbolo di una virtù particolare. Sarà poi il cristianesimo ad offrire una chance di consolazione dinanzi all’angoscia della morte, una speranza aperta anche ai deboli, alle vittime, ai non eroi.
Anche Tommaso Braccini nel suo recente volume Avventure e disavventure dei classici (Carocci, pagine 176, euro 17,00), se la prende nelle prime pagine contro la tendenza da parte di «censure e ideologie aberranti» di «imbavagliare alcuni autori». E aggiunge: «Proprio le vicende travagliate dei classici ci devono far riflettere sulla necessità di salvaguardarli, proteggerli e assicurarsi che anche chi verrà dopo di noi possa godere della straordinaria opportunità di confrontarsi con gli “antiqui huomini” (per dirla con Machiavelli) che hanno ancora tanto da dire. Non ci si deve nemmeno adagiare nella falsa sicurezza data dal digitale, dalle risorse della rete e dalla possibilità di stoccare su eteree nuvole milioni e milioni di byte: basta un blackout e tutte queste opere rischiano di diventare mute e inaccessibili. E lo saranno comunque, se nessuno le studia. L’unico modo per proteggere i classici è amarli, farli conoscere, farli circolare, far capire quanto sono belli e quanto hanno da dirci e da ispirarci, dando loro la parola e rendendoli sempre più accessibili».
Se è vero che habent sua fata libelli, e che moltissimi testi degli autori antichi sono andati perduti definitivamente, fortunatamente molti si sono salvati, spesso in modo rocambolesco, in tanti casi grazie all’opera dei monaci amanuensi del Medioevo. Uno dei casi più emblematici è la cosiddetta Ilias picta, una sorta di album di figurine realizzato nel XII secolo da un manipolo di bizantini nella Calabria normanna, stravolgendo ma preservando in qualche modo un codice alessandrino del 500 che conteneva tutto il poema di Omero ed era costellato da bellissime miniature. Il manoscritto giunse dall’Egitto prima in Sicilia e poi a Reggio: era in greco tutto maiuscolo, com’era usanza nel mondo antico, senza segni d’interpunzione, accenti o spiriti. Solo nel Medioevo questi testi venivano trascritti in minuscolo. Qualcuno pensò bene di ritagliare le miniature e di incollarle su un quaderno di carta aggiungendovi a fianco i riassunti dei canti omerici e delle storie mitologiche pertinenti. Un’operazione di collage che suscita un po’ di indignazione ma il cui scopo era evidentemente di salvare il salvabile della cultura greca. «Quello che ne venne fuori – spiega Braccini – fu una sorta di libretto molto simile ai coloratissimi volumi dedicati alla mitologia classica che ai nostri giorni si trovano tra gli scaffali delle librerie per ragazzi». L’Iliade dipinta subì ancora varie peripezie, fra cui un naufragio vicino ad Ancona, per finire miracolosamente a Napoli, nella biblioteca di Cosmo Pinelli, venendo alfine acquistata per oltre 3.000 scudi d’oro dal cardinale Federigo Borromeo nel ‘600. Tant’è vero che oggi è conservata alla Biblioteca Ambrosiana.
Il volume ripercorre poi le vicende di altri personaggi sensazionali come l’umanista Pletone o il metropolita Michele Coniata, raccontando come numerosi manoscritti del mondo greco-romano siano giunti fino a noi in maniera insperata: come l’Inno a Demetra, il cui manoscritto fu copiato agli inizi del ‘400 dall’ecclesiastico bizantino Giovanni Eugenico, arrivando a Mosca e oggi a Leida, in Olanda. O il frammento dei primi versi della prima Pitica di Pindaro, che Athanasius Kircher nel Seicento dichiarò di aver rinvenuto nella biblioteca del monastero di San Salvatore presso Messina e che trascrisse; fu definito «il più grande elogio della musica mai scritto», ma per molti studiosi non è autentico, anzi sarebbe opera proprio del gesuita tedesco. Poi si arriva attraverso Platone e Aristotele fino ad Archimede e ai suoi trattati di matematica, alcuni dei quali pervenuti al monastero di San Saba nel deserto di Giudea. Braccini si diverte nel ricostruire il percorso accidentato di opere come le commedie di Plauto, giunte alla famosa raccolta del monastero di San Colombano a Bobbio, nel Piacentino, o di Apuleio, il cui Asino d’oro – unico caso di conversione nel mondo antico secondo il patrologo Gustave Bardy - finì chissà come all’abbazia di Montecassino, annotando poi come i monaci medievali o gli umanisti non si siano fatti scrupolo di ricopiare testi il cui contenuto poteva essere ritenuto riprovevole dal punto di vista morale. Persino l’ultima opera presa in esame, il poema De reditu di Rutilio Namaziano, scritto dopo il sacco di Roma da parte di Alarico del 410 e non certamente favorevole alla nuova religione che si stava imponendo nell’impero romano, è stato messo in salvo a Bobbio!
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