venerdì 10 marzo 2023
Il racconto in prima persona di una giovane afghana profuga in Italia, dove ha partorito il suo primo figlio. La fuga attraverso il Pakistan, l'aiuto di una giornalista Rai e l'accoglienza
Moqadasa Nikzad

Moqadasa Nikzad - Per gentile concessione cooperativa sociale "Una città non basta" di Marino

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Con questa e decine di altre testimonianze, storie, interviste e lettere, le giornaliste di Avvenire danno voce alle bambine, ragazze e donne afghane. I taleban hanno vietano loro di studiare dopo i 12 anni, frequentare l'università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. Noi vogliamo tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e non dimenticarle. E per trasformare le parole in azione, invitiamo i lettori a contribuire al finanziamento di un progetto di sostegno scolastico portato avanti da partner locali con l'appoggio della Caritas. QUI IL PROGETTO E COME CONTRIBUIRE

Mi chiamo Moqadasa Nikzad, ho 29 anni, sono di Kabul. Sposata da due anni, sono madre di un bambino di un anno. Dal 22 dicembre 2021 vivo in Italia ospite della cooperativa sociale Una Città non Basta di Marino, in provincia di Roma.

In Afghanistan avevo tutto: una casa, la mia famiglia, tante opportunità di lavoro. Ero ostetrica al French Medical Institut for Mothers and Children e ho lavorato anche con l'organizzazione americana JHPIEGO. Inoltre come volontaria aiutavo circa 30 donne a vendere oggetti artigianali alle ambasciate. Poi mi sono sposata con Jawad, progettando un futuro insieme. Era tutto bello, tranquillo. Avevo scoperto da poco di aspettare un bambino quando sono tornati i taleban: ero in ospedale e siamo scappati in fretta. Ho visto armi, gente che correva, c'era tanta confusione in strada. Ho impiegato 5 ore per arrivare a casa. Ero stressata, ma soprattutto avevo paura di perdere il bambino.

Tutto è cambiato da quel giorno. Scappavamo in posti sempre diversi. Abbiamo ricevuto offerte da americani e francesi per andar via, ma nella mia condizione e anche perché l'aeroporto era a rischio, abbiamo preferito rimanere. Fino a quando, a seguito di un contatto avuto dalla sorella di mio marito con la giornalista Rai Maria Grazia Mazzola, ci è arrivata la lettera della Cooperativa Una Città Non Basta che era disposta ad ospitarci. Allora ci siamo decisi a oltrepassare la frontiera con il Pakistan: io con il burqa e mio marito vestito come i talebani. Ogni 100 metri un controllo dei documenti, dei cellulari, del computer. Volevano sapere dove andavamo. E noi rispondevamo che dovevamo recarci in ospedale per un controllo, visto che ero incinta. Avevo paura che trovassero i documenti che potevano metterci in serio pericolo, avendo lavorato per gli stranieri.

Fortunatamente siamo arrivati a Torkam. Una volta in Pakistan è stato tutto più facile per noi. Siamo andati in albergo e ci hanno rilasciato il visto per uscire nello stesso giorno. In ambasciata c'erano altre donne incinte che ho rivisto a Roma dove siamo stati accolti dagli operatori della cooperativa e dalla stessa Mazzola. Mi sono tranquillizzata. Capivo che ero e sarei stata al sicuro. Voglio ringraziare tutti coloro che ci hanno aiutato a venire qui in Italia. E a farci rimanere in famiglia. Con le operatrici della cooperativa è nato un rapporto molto speciale.

Il 13 gennaio sono stata ricoverata d'urgenza al Policlinico Casilino dove il 14 gennaio 2022 è venuto alla luce Subhan, pre termine a causa dei problemi causati dallo stress, con parto cesareo. Io sono stata male per 10 giorni, oltretutto avevo difficoltà con la lingua e mi mancava mia madre.

In questo anno sono molto cambiata e sento che devo essere forte anche per Subhan. Mi capita di star male perché mi mancano i momenti passati con mia madre e perché mi rendo conto che ora devo ricominciare da zero.

Frequenterò il corso di italiano per stranieri che la cooperativa inizierà a breve a Marino. Lo scorso dicembre ho partecipato allo spettacolo “Il tuono del deserto”, con la Sala Teatro Vittoria, per raccontare come vivono le donne in Afghanistan. Mi sono sentita utile e grata per l'opportunità di condividere con gli altri queste storie.

Per il futuro sogno una vita normale: lavorare e riuscire a far arrivare in Italia il resto della mia famiglia. Ho lasciato mio padre che non ha lavoro, mia madre, tre fratelli e una sorella di 16 anni che non può andare a scuola. Li aiutavo economicamente. Due di loro non hanno il passaporto, ora ci vogliono 2.500 dollari e ogni giorno il costo aumenta

A mio figlio Subhan auguro la salute. Spero che cresca con quei valori che ora sta sperimentando: affetto e condivisione. E che da adulto sia una buona persona, in grado di essere d’aiuto al popolo afghano e a quello italiano.

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