venerdì 10 luglio 2020
I più recenti studi scientifici internazionali stanno mostrando gravi problemi di sicurezza nella tecnica del "copia-incolla" sul dna della vita umana. Amplificando gli evidenti dubbi etici.
Gene editing, il flop degli embrioni manipolati
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«Se l’editing dell’embrione umano a fini riproduttivi, o l’editing della linea germinale, fosse un volo spaziale i nuovi dati equivarrebbero a far esplodere il razzo sulla rampa di lancio prima del decollo». È il commento di Fyodor Urnov, genetista a Berkeley, University of California, riguardo a tre studi sul gene editing resi pubblici a giugno e in attesa di revisione dalle riviste cui sono stati spediti.
Stiamo parlando di Crispr-Cas9, la "forbice molecolare" del Dna che ha rivoluzionato la genetica per la sua promettente efficacia, precisione e accessibilità, sia nei costi che nelle procedure sperimentali: elementi che ne hanno consentito una rapida diffusione nei laboratori di tutto il mondo. Una tecnica che i lettori di Avvenire sanno aver sollevato pesanti problemi etici per la sua applicazione sugli embrioni umani: proprio gli studiosi del settore chiesero in due differenti lettere, pubblicate sulle riviste scientifiche Nature e Science nel marzo 2015, una moratoria per la ricerca di settore.
Quella di introdurre modifiche ereditabili nel genoma umano è una delle problematiche di cui si discute da decenni in ambito bioetico ma anche filosofico, giuridico e scientifico, ed è un atto vietato dalla Convenzione di Oviedo, la più importante carta internazionale della biomedicina. È diventata una questione urgente da quando Crispr-Cas9 l’ha resa tecnicamente possibile. Ne ha svelato tutta la drammaticità nel 2018 il ricercatore cinese He Jiankui, annunciando la nascita di due gemelline con il Dna editato, suscitando una intensa – ma breve – ondata di sdegno nel mondo intero.
Va detto che i lavori pubblicati in questi anni sull’editing genetico degli embrioni umani sono pochi. Un segnale importante per chi ha un minimo di familiarità con le dinamiche della comunità scientifica: evidentemente questo tipo di ricerca non è così promettente come pure sembrerebbe. Eppure la tecnica è ampiamente accessibile e gli embrioni disponibili non mancano: in molti Paesi se ne distruggono migliaia ogni anno fra quelli "sovrannumerari", cioè prodotti durante cicli di fecondazione assistita e mai più richiesti dai genitori. Ma anche accantonando momentaneamente le enormi problematiche etiche suscitate – le stesse sollevate dagli studiosi –, le obiezioni strettamente scientifiche sono state sempre evidenti: fin dall’inizio l’accento si è posto sugli effetti non voluti di Crispr-Cas9 sul Dna, cioè alterazioni impreviste e imprevedibili sul genoma di tipo off target, cioè in regioni diverse da quelle che gli studiosi intendevano modificare.
I tre lavori di cui stiamo parlando, invece, hanno mostrato in modo indipendente l’uno dall’altro che di errori nel processo di editing embrionale ce ne sono molti, pesanti e soprattutto nuovi, di tipo on target, cioè vicini alla zona bersaglio delle modifiche: «Gli effetti on target sono più importanti e sarebbero più difficili da eliminare» secondo Gaètan Burgio, genetista alla Australian National University a Canberra. Errori di entità tale che la rivista Nature ha dedicato un articolo ai tre studi titolando «L’editing Crispr scatena il caos cromosomico negli embrioni umani». Nello specifico, il primo lavoro è di ricercatori del Francis Crick Institute di Londra e analizza lo sviluppo embrionale a seguito di mutazioni indotte con Crispr-Cas9 nel gene P0u5F1: il 22% degli embrioni editati ha mostrato mutazioni non volute in prossimità del gene bersaglio – riarrangiamenti e delezioni importanti che hanno interessato diverse migliaia di basi del Dna. Il secondo è di un gruppo della Columbia University e studia mutazioni nel gene Eys che portano a cecità: la metà degli embrioni editati ha perso ampi segmenti del Dna, e in qualche caso l’intero cromosoma sede del gene bersaglio. Il terzo gruppo di lavoro, della Oregon Health & Science University, ha fatto osservazioni analoghe esaminando geni coinvolti in patologie cardiache. Risultati concordi, quindi, non attribuibili a casualità.
E sa tanto di excusatio non petita ribadire che si tratta di ricerca a fini conoscitivi (di base) e non riproduttivi (applicata): gli embrioni sarebbero cioè stati modificati per aumentare le conoscenze a riguardo e non per avviare poi gravidanze.
La distinzione fra ricerca di base e applicata è funzionale a eliminare ogni ostacolo alla prima – chi mai vorrebbe limitare la conoscenza? – per porre limiti solo alla seconda: è però una distinzione astratta, retaggio degli anni dell’ultimo dopoguerra che non corrisponde a realtà, come ormai condiviso da tanti studiosi – ad esempio V. Narayanamurti, che insegna Technology and Public Policy alla Harvard Kennedy School, ma anche R. Pielke, docente di studi ambientali alla University of Colorado di Boulder, e B. Godin, docente e studioso di Innovation Studies all’Institut National de la Recherche Scientifique a Montreal.
È evidente che ogni ricerca, in quanto tale, aumenta le conoscenze, e d’altra parte per trasferire in utero embrioni umani editati bisogna prima poterli modificare in laboratorio. È altrettanto evidente la forte spinta ideologica verso manipolazioni profonde dell’umano, ammantate dal nobile scopo della ricerca scientifica, la quale ricerca però, se portata avanti con onestà intellettuale, svela sempre i limiti dell’ideologia.

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