giovedì 16 gennaio 2025
Rumorose proteste di gruppi pro-aborto contro la presenza nell’organismo comunale nato per dar voce a tutte le donne dell’associazione per la promozione della vita umana. «Un brutto clima»
Cartelli ostili alla presenza di Pro Vita al Consiglio delle Donne (Cdd) del Comune di Bergamo

Cartelli ostili alla presenza di Pro Vita al Consiglio delle Donne (Cdd) del Comune di Bergamo - .

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«Fuori le antiabortiste dal Consiglio delle donne». Il diktat dell’associazione “Non una di meno” ha convinto la referente bergamasca di Pro Vita, l’avvocato Anna Marinelli, a disertare la seduta dell’organismo comunale, istituito nel 1996 per rappresentare le varie anime del mondo femminile cittadino. A patto che se ne rispetti la Carta dei valori, il Consiglio dovrebbe essere aperto a tutte, in ossequio ai più basilari principi democratici e di libertà d’espressione. Ma la sfera femminista orobica non la pensa così: Pro Vita, dicono, non ha diritto di partecipare alle sedute perché i suoi valori contrastano con quelli di «uno spazio dedicato all’emancipazione delle donne e contrario a ogni discriminazione». Su queste basi, durante la riunione di martedì sera è scattata la contestazione. Dalle sedie del pubblico è partito qualche slogan e si sono levati alcuni cartelli («Il corpo è mio e decido io»), che poi sono stati abbassati su richiesta esplicita di Maria Teresa Birolini, dell’associazione Bergamo Insieme. «Non condivido le idee di Pro Vita – ha detto Birolini – ma trovo che questa sia un’aggressione inaccettabile alla libertà di pensiero». Le turbolenze in aula si sono placate in fretta, anche perché sulle attiviste vigilava l’occhio della polizia locale e soprattutto degli uomini della Digos, che nei giorni scorsi avevano fiutato l’aria di burrasca – frutto di un mese di accese polemiche nella politica cittadina, con ricadute inevitabili sui social – e perciò avevano annunciato a Pro Vita che avrebbero assistito alla serata. Nessuna minaccia concreta né specifica, secondo la polizia, solo dovuta cautela. Ma Marinelli ha preferito non partecipare. In una nota, Pro Vita aveva parlato nei giorni scorsi di «campagna di intolleranza e mistificazione». Raggiunta telefonicamente da Avvenire, Marinelli ha aggiunto: «Tutto è cominciato quando siamo stati ammessi al Consiglio, prima di Natale. Un brutto clima che è stato confermato anche dagli atteggiamenti di martedì sera. Ogni volta che pronunciavano il mio nome per una votazione si alzavano grida nei miei confronti. Siccome non mi pare normale andare a esercitare un diritto scortati dalla polizia, ho preferito rimanere a casa. Spero che la scelta contribuisca ad abbassare i toni, se fossi stata presente non credo che tutto sarebbe andato così liscio».

Marinelli chiarisce che la presenza di Pro Vita non sarà affatto in contrasto con i valori del Consiglio, anzi. «Lavoreremo per il sostegno alla maternità e alla famiglia: noi non demonizziamo nessuno né faremo propaganda. Finora c’è stato un processo alle intenzioni. Semmai parleremo di come garantire supporto materiale e morale affinché ci sia un’effettiva libertà di scelta, nel rispetto dell’autodeterminazione prevista dalla legge». Mano tesa, insomma, purché la tensione si stemperi nelle prossime sedute. «Ma il problema non sarà tanto ciò che faremo noi, bensì quello che faranno loro. Anche la maggioranza ha riconosciuto che la nostra presenza è legittima, quindi mi auguro che le critiche rientrino in limiti accettabili».

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