giovedì 19 dicembre 2019
Nella voce dei protagonisti di allora e di oggi i 25 anni dell’iniziativa di adozione prenatale. Un Fondo speciali per aiuti "una tantum" urgenti
Sono tra 400 e 500 ogni anno le adozioni prenatali avviate da Progetto Gemma, e per ognuna c'è un bambino che nasce

Sono tra 400 e 500 ogni anno le adozioni prenatali avviate da Progetto Gemma, e per ognuna c'è un bambino che nasce - Ansa

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Ci sono consigli comunali, interi condomìni, gruppi del catechismo, parenti o amici di neosposi, familiari di una persona scomparsa... Le motivazioni per sostenere la nascita di un bambino sono tantissime, e tutte lodevoli. E poi ci sono i carcerati; pochi giorni fa un gruppo di detenuti del carcere di massima sicurezza di Nuoro, su suggerimento del cappellano, ha deciso di avviare l’adozione a distanza di una mamma e del suo bambino.

Sono tra i 400 e i 500 ogni anno i Progetti avviati; e per ognuno c’è una Gemma che nasce, un bambino che può vedere la luce. In 25 anni di vita – compiuti proprio in questo 2019 che sta per finire – i responsabili che via via si sono avvicendati, da Silvio Ghielmi (dal 1994 al 2002), che ne fu l’ispiratore insieme a Mario Paolo Rocchi, Francesco Migliori e Giuseppe Garrone, passando per Erika Vitale (dal 2002 al 2012), fino all’attuale, Antonella Mugnolo, hanno seguito quasi 24mila casi. I primi bambini nati grazie all’adozione prenatale, sviluppata in seno al Movimento per la vita attraverso la Fondazione Vita Nova, sono ormai più che maggiorenni. In pochi sanno che le loro mamme erano così disperate da aver pensato a rinunciare a loro, se non fosse stato per quella mano tesa che le ha fatto sentire meno sole.

Come funziona è presto detto: un singolo, un gruppo di persone, un’associazione (ma ci sono anche consigli comunali come quello di Verona e Comuni come Recco e Caravaggio) si impegna a sostenere una mamma per 6 mesi prima della nascita del bambino e un anno dopo, versando 160 euro al mese, per un totale di 2.880 euro. In molti casi si tratta di regali aziendali o di nozze o l’alternativa degli stessi sposi alle bomboniere, oppure di raccolte di denaro tra amici per sottolineare occasioni speciali. L’ufficio di Progetto Gemma, che si trova a Milano nei locali della parrocchia di Ognissanti, zona sud della metropoli, raccoglie le segnalazioni che arrivano dai 331 Centri di aiuto alla vita di tutta Italia. C’è una giovane tentata dall’aborto perché è disperatamente povera o disperatamente sola? Una mamma che ha già tre figli e il quarto proprio non sa come mantenerlo? Il Cav propone alla donna un aiuto economico e Progetto Gemma crea l’abbinamento – proprio come avviene in un’adozione – con il donatore. I sostenitori ricevono informazioni sul neonato e ne seguono la crescita.

Erano gli albori degli anni Settanta, incombeva la legge sull’aborto (arrivò nel 1978), ricorda Silvio Ghielmi, che a 93 anni è la preziosa memoria storica di Progetto Gemma. I primi «attivisti » del Movimento per la vita decisero di creare una fondazione per sostenere i Centri di aiuto alla vita che già esistevano nella penisola. I Cav sapevano che la disperazione della future mamme che bussavano alle loro porte era dettata soprattutto da ragioni economiche. «Si capì che Progetto Gemma – ricorda Ghielmi – poteva fare la differenza in quel momento spaventoso della decisione tra il sì e il no ad accogliere un bambino». È ancora così, da allora: «Progetto Gemma non è una semplice offerta di denaro, non è carità, ma è la possibilità che una vita possa germogliare», continua Ghielmi.

Nella storia di questa grande impresa sono successi tanti piccoli miracoli. Erika Vitale li enumera come la memoria glieli suggerisce: dall’ingegnere milanese che offrì un lascito enorme a un altro benefattore che decise di sostenere 14 mamme, alla parrucchiera che raccoglieva le mance delle clienti, al gruppo di colleghi che metteva in una cassa comune l’equivalente di un caffè al giorno, fino ai piccoli risparmi della classe del catechismo... E poi la meraviglia dei bambini «adottati» da Giovanni Paolo II, che pochi giorni prima di morire fece arrivare un assegno da 25mila euro che l’allora presidente del Movimento per la vita, Carlo Casini, destinò a Progetto Gemma. «Furono aiutate 10 donne, nacquero 11 bambini: due erano gemelli. Una mamma era polacca, aveva già in mano il certificato per l’interruzione di gravidanza. Quando seppe che ad aiutarla era il Papa suo connazionale ne fu orgogliosissima », ricorda Erika Vitale.

E oggi, cosa accade? «Le donne destinatarie dell’adozione prenatale sono metà straniere e metà italiane», osserva l’attuale responsabile, Antonella Mugnolo, sposata, due figli di 12 e 9 anni, «catturata» al Movimento per la vita proprio da Carlo Casini. «Purtroppo l’aborto è diventato fai-da-te, ai Cav arrivano donne che hanno abortito più volte. Un elemento positivo è che spesso sono i consultori pubblici ad indirizzare le donne ai Cav». E la povertà è la causa principale della rinuncia alla maternità, oltre al fatto che i padri o istigano all’aborto o si dileguano. Quanto ai sostenitori, una gran parte di Progetti Gemma viene finanziata da gruppi, perché per un singolo si può rivelare una spesa alta. Per i 25 anni di Progetto Gemma – racconta Antonella Mugnolo – è stato istituito un Fondo speciale per intervenire con aiuti una tantum alle mamme in casi urgenti, come uno sfratto imminente. Tutto il possibile, per salvare una vita.

(www.fondazionevitanova.it)

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