martedì 10 giugno 2025
I ragazzi dell'istituto milanese Leone XIII (dove aveva studiato anche Acutis) hanno portato tra i detenuti lo spettacolo «The Greatest Showman». «Occasione per toccare i cuori e cambiare le vite»
Un momento dello spettacolo nel carcere di Bollate

Un momento dello spettacolo nel carcere di Bollate - Lorenzo Pellegrinelli

COMMENTA E CONDIVIDI

Sul palco cantano e ballano 55 attori tra i 14 e i 19 anni: è il loro Greatest show, tratto dal quasi omonimo musical che nel 2017 ha girato i cinema di tutto il mondo. Dietro le quinte si muovono con loro almeno altrettanti tra aiutanti, costumisti, tecnici e registi. Sulle loro teste, seguendo il ritmo della musica, danza affacciato alla finestra un detenuto. Di fronte agli interpreti, si trova una platea di centinaia di persone recluse nel carcere di Bollate, entusiaste di trascorrere, dopo anni, una serata all’aria aperta. Per alcuni, è la prima in assoluto. Altri piangono per l’emozione. Tutti applaudono e si alzano in piedi durante gli inchini finali. Padre Vitangelo Denora, presidente dell’istituto gesuita Leone XIII (lo stesso dove aveva studiato il beato Carlo Acutis), ha definito «un incontro di vita e speranza» quello tra i suoi alunni e i detenuti della casa circondariale di Bollate, che giovedì scorso ha ospitato il musical studentesco The Greatest Showman. «In questa cornice – racconta il religioso ad Avvenire, mentre ancora il pubblico applaude i giovani attori – si tocca l’umanità ferita e nuda. Quando ci si incontra senza barriere, come oggi, succede qualcosa di sacro e meraviglioso. Queste cose cambiano un po’ il mondo e la nostra storia».

Prima dell’apertura del sipario, alcuni detenuti hanno aiutato gli attori e la troupe a organizzare il palco provvisorio. Durante lo spettacolo, poi, il pubblico ha pianto, riso e ballato. «Era come averli sul palco con noi – commenta il protagonista Paolo, dopo l’ultimo inchino –. Ci siamo sentiti accolti dal momento in cui siamo entrati: tutti i carcerati erano solari, avevano voglia di partecipare. È stato il pubblico più partecipativo che abbiamo avuto». Secondo la giovane attrice Cecilia, solo un musical come The Greatest Showman avrebbe potuto creare un legame tanto stretto con un pubblico di detenuti: «Diversità, inclusione, discriminazione. In questo spettacolo c’è tutto – commenta –. Si tratta di una storia da cui loro si sono sentiti molto rappresentati. Portare un messaggio così grande dentro a un carcere è stato molto emozionante per me». A parlare con il pubblico, pare che le intenzioni degli studenti non siano cadute nel vuoto. «Guardando loro che recitavano – commenta Giacomo (nome di fantasia) – ci siamo resi conto che dentro al carcere viviamo una “non realtà”». Alcune scene hanno colpito i detenuti più di altre: «Quando ho visto la città che urlava “mostri” ai personaggi in scena – racconta Cristiano (nome di fantasia) – ho pensato a quanto tempo è passato da quando vivevo in società e ho immaginato il distacco che ormai c’è tra le persone che vivono fuori e noi, che abbiamo vissuto dentro così a lungo. Anche noi ci sentiamo mostri».

È per colmare questa distanza, tra la vita che scorre fuori e quella che si ferma dentro al carcere, che Bollate organizza queste serate: «Il nostro compito è dare un’opportunità a tutti – conclude l’educatrice Catia Bianchi – e spesso, più di tante parole, a cambiare la vita delle persone è un libro o, appunto, uno spettacolo teatrale».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI