Lo strumento per combattere bufale, «fake news» e odio esiste già. Usiamolo
Tutti vogliamo una società migliore. Ma, a volte, la vogliamo un po' troppo in fretta. Attraverso soluzioni rapide e dall'«alto». È quello che accade per le cosiddette «bufale» (fake-news) in Rete e per l'«odio» (hate speech) che viene sprigionato (anche) sui social network come Facebook, Twitter, Snapchat eccetera. Tutti vorremmo un «algoritmo», un «supercomputer», un «superpoliziotto del web» che rimettesse a posto tutti quelli che sbagliano.
Per questo la Germania pensa di multare fino a 50 milioni di euro i social network che non toglieranno in fretta i contenuti di odio e le notizie false dalle «pagine» dei loro iscritti. In fondo, si dice, è ora che colossi come Facebook e Google siano più responsabili. Giusto. Giustissimo. Ma resta una domanda cruciale: chi controlla i controllori?
Sarà un caso, ma è illuminante: 24 ore dopo l'annuncio del Governo tedesco, il primo ministro del Pakistan ne ha fatto uno simile (con toni più forti): «Via i contenuti blasfemi dai social, altrimenti arriveremo a chiuderli». Difficile non concordare. A patto di non sapere cosa Sharif intende per «blasfemia» e di come questa accusa sia stata usata più volte in Pakistan per discriminare chi non la pensa come il Governo musulmano, cristiani in testa.
Lo so: il parallelo è forte, ma dovrebbe farci riflettere sulla nostra fretta nel volere cercare soluzioni rapide e indolori a un problema pur grave e diffuso ma che ha mille sfaccettature. Come sottolinea Keybiz, il quotidiano dedicato al digitale, «i governi europei iniziano a preparare la guerra alle fake news. E lo stanno facendo, non solo per “il bene dei cittadini”, ma perché si stanno avvicinando le elezioni ed è forte il timore che gli elettori possano essere influenzati da notizie false postate sui social durante la campagna elettorale». Ricapitolando: la Germania pensa a multe fino a 50 milioni per i social che non cancellano le notizie false, la Francia si affida a una società di «verifica dei fatti» (fact-checking) che le segnala a Facebook, mentre l'Inghilterra ha avviato una commissione d'inchiesta. In Italia c'è un disegno di legge che prevede multe e anche il carcere per chi spaccia odio e notizie false in Rete.
Eppure – come ha ricordato Piero Bargellini delle Acli – «lo strumento giuridico per le bufale, in rete e non solo lì, esiste già; basta applicarlo». È l'articolo 656 del Codice Penale: «Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l'ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a 309 euro». Solo che per applicarlo servono denunce, lavoro dei giudici e tempo.
La verità (amara) è che il problema è enorme e per ora ha prodotto soluzioni parziali. Le stesse che per anni hanno cercato di arginare la violenza (e non solo quella) dai programmi tv.
Per questo la Germania pensa di multare fino a 50 milioni di euro i social network che non toglieranno in fretta i contenuti di odio e le notizie false dalle «pagine» dei loro iscritti. In fondo, si dice, è ora che colossi come Facebook e Google siano più responsabili. Giusto. Giustissimo. Ma resta una domanda cruciale: chi controlla i controllori?
Sarà un caso, ma è illuminante: 24 ore dopo l'annuncio del Governo tedesco, il primo ministro del Pakistan ne ha fatto uno simile (con toni più forti): «Via i contenuti blasfemi dai social, altrimenti arriveremo a chiuderli». Difficile non concordare. A patto di non sapere cosa Sharif intende per «blasfemia» e di come questa accusa sia stata usata più volte in Pakistan per discriminare chi non la pensa come il Governo musulmano, cristiani in testa.
Lo so: il parallelo è forte, ma dovrebbe farci riflettere sulla nostra fretta nel volere cercare soluzioni rapide e indolori a un problema pur grave e diffuso ma che ha mille sfaccettature. Come sottolinea Keybiz, il quotidiano dedicato al digitale, «i governi europei iniziano a preparare la guerra alle fake news. E lo stanno facendo, non solo per “il bene dei cittadini”, ma perché si stanno avvicinando le elezioni ed è forte il timore che gli elettori possano essere influenzati da notizie false postate sui social durante la campagna elettorale». Ricapitolando: la Germania pensa a multe fino a 50 milioni per i social che non cancellano le notizie false, la Francia si affida a una società di «verifica dei fatti» (fact-checking) che le segnala a Facebook, mentre l'Inghilterra ha avviato una commissione d'inchiesta. In Italia c'è un disegno di legge che prevede multe e anche il carcere per chi spaccia odio e notizie false in Rete.
Eppure – come ha ricordato Piero Bargellini delle Acli – «lo strumento giuridico per le bufale, in rete e non solo lì, esiste già; basta applicarlo». È l'articolo 656 del Codice Penale: «Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l'ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a 309 euro». Solo che per applicarlo servono denunce, lavoro dei giudici e tempo.
La verità (amara) è che il problema è enorme e per ora ha prodotto soluzioni parziali. Le stesse che per anni hanno cercato di arginare la violenza (e non solo quella) dai programmi tv.
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