Vittoria e sconfitta sono una storia sola
Lo sport somiglia alla vita, così come la vita somiglia allo sport, perché in nessuno dei due casi ci sono copioni scritti o sceneggiature. Lo sport, come la vita, è disordinato, fragile, pieno di svolte improvvise. Non è difficile ammetterlo quando si osserva da lontano; molto più complicato è accettarlo mentre ci sei dentro, quando ogni scelta pesa e non lascia margini per pensieri lunghi. In campo, come nei giorni che viviamo, teoria e pratica non coincidono: magari si prepara un piano, si tenta di eseguirlo, ma poi arriva un imprevisto e allora si naviga a vista, tra colpi ricevuti e strade da cambiare all’ultimo. E solo dopo, guardandosi indietro, si cerca di dare un senso. L’incredibile giornata di domenica ce lo ha ricordato con forza, mettendo accanto due storie che sembrano contraddirsi e invece si completano. A Bangkok la Nazionale femminile di pallavolo, che nell’estate scorsa aveva trionfato ai Giochi Olimpici, ha vinto il Mondiale riportando in Italia un titolo che mancava da oltre vent’anni. A New York, poche ore dopo, Jannik Sinner ha perso la finale degli US Open, sfiorando un traguardo che pareva alla sua portata e che gli ha fatto perdere, almeno temporaneamente, la posizione numero 1 del ranking mondiale. Vittoria e sconfitta: lo sport e la vita che si intrecciano, a furor di popolo, nello spazio di un pomeriggio. Le ragazze del volley erano partite senz’altro favorite, ma a differenza di Parigi, hanno incontrato un percorso lineare solo fino al quarto di finale: la semifinale e la finale, fra piccoli infortuni e avversarie in gran forma, sono state partite difficilissime e indimenticabili, entrambe risolte al 5° set. Le ragazze azzurre hanno risposto con la sola arma che serve: il coraggio di navigare nella tempesta, trasformando fragilità in forza, paure in energia, individualismo in collettivismo: restare insieme non quando è facile, ma quando è difficile. Due partite che raccontano che la perfezione non esiste, ed è bellissimo così. Sinner ha mostrato invece l’altra faccia. La sua sconfitta non toglie minimamente nulla al percorso che lo ha reso un tennista straordinario e un punto di riferimento per milioni di persone. Al contrario, lo rende forse più umano, più vicino. Perché la vita non consegna sempre medaglie: più spesso ci mette davanti al limite. È lì che si misura la grandezza di un atleta, di una squadra, di una persona, di un Paese: nella capacità di restare se stessi quando le difficoltà arrivano o quando il risultato non è quello sperato. Il vero insegnamento di questa giornata sta forse proprio nella simultaneità. Mentre un gruppo di ragazze meravigliose sollevava la coppa del mondo, un ragazzo, altrettanto meraviglioso, chinava il capo davanti a un avversario, in quel momento, più forte. Non c’è logica, non c’è bilanciamento: è semplicemente la vita che procede senza seguire i nostri schemi. E allora lo sport educa ancora una volta, non perché ci assicuri che vinceremo sempre, ma perché ci mostra che vittoria e sconfitta fanno parte della stessa storia. Perché la vita e lo sport non vanno compresi a tavolino: vanno vissuti, dentro il caos, con il coraggio di esserci. Alla fine, qualche volta ce la si fa, qualche altra no. © riproduzione riservata
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