Tra campioni e santi la via dell’allenamento

June 17, 2025
C’è stato un momento, durante la Messa celebrata domenica da papa Leone XIV nella Basilica di San Pietro in occasione del Giubileo dello Sport, di emozione pura: quando il Pontefice ha evocato e fatto risuonare una parola che sembrava fuori luogo in quel momento e in quel posto così solenne, ma che invece ha risuonato con una forza dirompente: “Dai!”. «Pensiamo a un’espressione che, nella lingua italiana, si usa comunemente per incitare gli atleti durante le gare – ha detto papa Leone XIV –. Gli spettatori gridano: “Dai!”. Forse non ci pensiamo, ma è un imperativo bellissimo, l’imperativo del verbo “dare”. E questo può farci riflettere: non si tratta solo di dare una prestazione fisica, magari straordinaria, ma di dare sé stessi, di “giocarsi”. Si tratta di darsi per gli altri – per la propria crescita, per i sostenitori, per i propri cari, per gli allenatori, per i collaboratori, per il pubblico, anche per gli avversari – e, se si è veramente sportivi, questo vale al di là del risultato». Insomma, in quell’invito che chiede dono, consegna, offerta, c’è il vero e proprio seme di una teologia dello sport. Il Santo Padre ha parlato di sport come «danza d’amore», come movimento, relazione, apertura. Nulla di statico, nulla di chiuso, proprio come lo sport che educa al movimento, al gioco, al valore della squadra e a quello della sconfitta. Non è retorica, è piuttosto la riscoperta profonda del senso originario dello sport: gratuità, corpo, limite. E anche fragilità. In un tempo che idolatra i vincenti “a ogni costo”, il Papa ci ricorda che lo sport ci educa non tanto a vincere ma soprattutto a perdere e a saper reagire alla sconfitta. E poi ancora, con la consueta grande attenzione che papa Leone XIV riserva al tema della società digitale e dell’intelligenza artificiale, la sottolineatura che ci ricorda che lo sport è una delle poche attività che, ancora oggi, può essere effettuata solo quando si è off-line. Infine, permettetemi, un passaggio che mi ha colpito anche dal punto di vista personale: quello riferito al beato Pier Giorgio Frassati, che sarà canonizzato il prossimo 7 settembre. Un giovane torinese, mio concittadino, capace di salire in montagna e scendere in politica, di giocare e pregare, di amare lo sport senza idolatrarlo sarà il patrono degli sportivi e, a tutti gli effetti, diventerà un altro dei santi sociali torinesi. Una vita «semplice e luminosa» la sua, così come la definisce il Papa. Una vita che ci ricorda che nella nostra società iper-competitiva nessuno nasce campione, come nessuno nasce santo, e che si diventa l’uno e l’altro solo con l’allenamento quotidiano e tante sconfitte dalle quali si trova la forza e il coraggio di rialzarsi. Una vita che ci insegna che si può evangelizzare, o quanto meno fare e farsi del bene, anche giocando, correndo, remando, nuotando, lottando. Le parole di papa Leone XIV andrebbero lette in ogni spogliatoio, in ogni centro sportivo, in ogni campo di periferia. Non riguardano solo chi crede: sarebbe bello raggiungessero gli allenatori, i dirigenti, i tifosi, i genitori, perché ci ricordano che lo sport non è un’industria, né un circo, né un’ideologia, ma una nobilissima attività che riguarda da vicino ogni essere umano. © riproduzione riservata

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