È giusto che il calcio resti indifferente al dolore di Gaza?
L’Athletic Club di Bilbao è la prima grande squadra europea a prendere posizione pubblicamente contro quella che ha definito «una tragedia umanitaria»

C’è un momento, nello sport, in cui il silenzio pesa più di qualsiasi parola. E c’è un gesto che, quando arriva, squarcia quel silenzio come una luce improvvisa. È ciò che ha fatto l’Athletic Club di Bilbao, prima grande squadra europea a prendere posizione pubblicamente contro quella che ha definito «una tragedia umanitaria e il genocidio a Gaza». Nel fine settimana, il San Mamés si è acceso con i colori della bandiera palestinese, sul tabellone elettronico dello stadio, il messaggio, in lingua basca: «Athletic per la Palestina. Stop al genocidio» e, sul campo, prima dell’inizio del match contro il Mallorca, i rifugiati palestinesi che vivono nei Paesi Baschi insieme ai rappresentanti dell’Unrwa. È stato un momento semplice e potente: un grande stadio europeo che smette di essere solo un teatro sportivo e diventa, per qualche minuto, un luogo politico nel senso più alto del termine, cioè centro della polìs, della comunità. Non si è trattato di una trovata mediatica, l’iniziativa nasce dal lavoro della «Fondazione Athletic», che da anni promuove progetti di educazione sportiva in contesti di guerra o povertà, anche in collaborazione con scuole e associazioni locali in Siria e nei campi profughi. Il club basco ha una lunga tradizione di impegno civile coerente con la sua identità: rappresentare la dignità di una terra e della sua gente, restando fedele ai propri valori. Bilbao non è nuova a questi gesti, le sue curve avevano già mostrato ripetutamente striscioni e sventolato bandiere palestinesi. Ma questa volta è stato il club stesso a farsi carico di una responsabilità collettiva, rompendo il tabù di un calcio europeo quasi sempre neutrale, quasi sempre muto davanti alla sofferenza. Mentre in Spagna uno stadio si accendeva per Gaza, in Italia è calato un silenzio assordante. Nessuna parola della Lega Serie A, nessuna iniziativa ufficiale della Federazione, nessun club disposto ad esporsi. Quando qualche tifoseria ha provato a esporre bandiere palestinesi sugli spalti, sono state fatte rimuovere, come se la compassione dovesse passare al vaglio dell’ufficio stampa. Il calcio italiano, che pure ama definirsi «popolare», non ha trovato un gesto, un minuto di silenzio, una voce che dicesse «non possiamo restare indifferenti». Eppure, il calcio è un linguaggio universale, uno spazio di relazione che parla a milioni di persone. Fingere che restare neutrali significhi non schierarsi è una menzogna. La neutralità, davanti a un dolore così evidente, è una forma di complicità. Il San Mamés illuminato con i colori della Palestina non è un gesto politico di parte: è un atto di umanità. È la dimostrazione che un club può restare dentro il suo ruolo sportivo e, allo stesso tempo, prendersi cura del mondo che lo circonda. Da Bilbao arriva una lezione di coraggio, di coerenza, di memoria civile. Il pallone non potrà (forse) cambiare la geopolitica, ma può illuminare la coscienza collettiva. E in un tempo in cui troppi scelgono di spegnere la luce, l’Athletic l’ha accesa, così come ha fatto Pep Guardiola, invitando i cittadini di Barcellona a scendere in piazza per manifestare solidarietà al popolo palestinese con un bellissimo video-messaggio. In catalano.
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