Perché, Signore, il prezzo dell’amore è di essere detestati?
Natale non è la festa della bontà ma, in queste parole sembra invece la sfida definitiva lanciata dall’amore alla morte, l’inizio del duello finale.

“A causa tua eccomi detestata, o tu che tutti ami”, rimango folgorato da questo passaggio di Efrem il Siro, è il sesto inno sulla natività, e a cantare è Maria. Parole affilate le sue, coraggiose, non è vero che l’amore dilata amore, che chi ama è sicuramente riamato, non sarà così per il figlio che la donna tiene tra le braccia, per l’incarnazione dell’Amore, per colui che tutto ama: morirà detestato.
Respiro profondamente, sollevo lo sguardo dal libro, cerco conforto nel piccolo presepe che mi guarda dall’alto, provo a salvarmi dall’agguato di queste righe: perché Signore il prezzo dell’amore è di essere detestati? Il bambino nella culla rimane muto, luci elettriche lampeggiano irridendo la mia ingenuità, torno ad affondare gli occhi nelle pagine del libro “eccomi perseguitata”, continua la Madonna di Efrem, “per aver concepito e partorito l’unico rifugio degli uomini”, ora le sue parole mi sembrano commosse, quasi stupite, la colpa dell’odio è quella di aver partorito l’unico rifugio per gli uomini, e forse comincio a capire. Non un rifugio ma l’unico, dice Maria, significa che Cristo ha reso inabitabile tutto il resto.
Maria è detestata dagli uomini per averci sottratto l’illusione di poter trovare salvezza anche altrove, l’amore fa paura perché è esclusivo, totalizzante. “Ecco che freme il mare contro tua madre, come contro Giona”, nel mio poverissimo presepe Maria ha le braccia spalancate in posizione innaturale, le parole di Efrem trasformano ai miei occhi un goffo atto di adorazione in richiesta d’aiuto, donna naufragata nella violenza degli uomini, chiede al figlio di guardarla, di salvarla, “ecco che Erode il flutto furioso, vuole affogare il Signore dei mari” la tensione è al culmine, Maria guarda quel bambino fonte di amore e di odio, guarda quel figlio fragile e pericoloso ed esplode in una domanda commovente, parole che mi sembrano la genesi di qualsiasi cammino di fede: “Dove devo fuggire? Insegnamelo tu, o maestro della madre tua”, le lacrime mi salgono agli occhi, la madre si mette nelle mani del figlio, la fede diventa una fuga per la sopravvivenza, quella in Egitto sarà solo la prima, Natale non è la festa della bontà ma, in queste parole sembra invece la sfida definitiva lanciata dall’amore alla morte, l’inizio del duello finale.
Maria sembra la prima ad accorgersene, la nascita dell’Amore risveglia la belva, la morte farà di tutto per cancellare quel bambino, dove fuggire? Nelle parole di Efrem sembra che il bimbo abbia suggerito al cuore di Maria la risposta, così la donna canta la preghiera che faccio mia davanti a questo presepe che non ha nulla di artistico ma che è stato dei miei nonni e che mio padre ha conservato e mi ha consegnato e che ora è qui con me. Presepe dozzinale ma carico del ricordo di persone che ho amato e che mi mancano, carico quindi del mormorio tetro della morte, così la Madonna di Efrem mi salva, mi aggrappo alle sue parole, diventano mia preghiera per la sopravvivenza, mio augurio per voi: “Fuggirò con te per ottenere vita, per mezzo tuo, in ogni luogo. Con te la fossa non è più una fossa, perché per mezzo tuo si sale al cielo. Con te il sepolcro non è più un sepolcro, perché tu sei anche la resurrezione”.
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