mercoledì 11 gennaio 2017
Tra un anno che finisce e un altro che comincia, alle prese con il tempo che scorre fuori e dentro di noi, e sentendoci forse in modo più sensibile modellati da quell'invisibile vasaio che è il tempo, ci accorgiamo che la nostra è una vita esposta. È impossibile non rilevare i segni del tempo in noi: linee di fragilità, ombre, sobbalzi, erosioni, aree più devitalizzate, manchevolezze. L'unità interiore è un lavoro immenso. Assomiglia alla tela che Penelope di giorno intesseva per disfarla poi di notte, nella sua attesa quasi disperata. Ma non possiamo desistere dal costruire questa unità dell'essere. Solo quello che noi amiamo allo stremo dell'amore non ci sarà tolto. Dire, per esempio, che la vita è segnata dalla vulnerabilità significa riconoscere quanto essa sia esposta alla possibilità di essere ferita. Vulnus è il corrispondente termine latino e, come già annotava Virgilio, esso non allude unicamente a ciò che ci lacera la pelle, ma vivit sub pectore vulnus: la ferita che sanguina nascosta nel cuore. La vulnerabilità è un accadimento totale. Eppure scopriremo che è per tramite suo che ci raggiunge anche quel che ci redime. Solo la vulnerabilità ci eleva, come in una danza, all'altitudine dell'infinito, là dove la gravità è vinta dalla grazia.
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