giovedì 3 maggio 2007
Questa è la storia di una persona che ha camminato, molto spesso ha corso, e correndo ha cercato di raccontare quel che le accadeva intorno. Poi, cinque anni dopo, si è voltata indietro. È per tutti un volto televisivo notissimo. Per me Monica Maggioni è anche il ricordo di una ragazza della mia stessa terra d'origine che allora iniziava i suoi studi universitari con intensità e passione e ne parlava con me che ero già da anni sacerdote e insegnante. Ho ricevuto mesi fa da lei il suo libro di memorie e considerazioni sul groviglio di eventi e di interpretazioni generato dalla vicenda dell'Iraq, da lei affrontato prima sul campo e ora nella riflessione (La fine della verità, Longanesi). Ho voluto proporre ai miei lettori l'avvio di quello scritto severo eppur coinvolgente perché potrebbe essere una sorta di parabola adatta a tutti. Nella vita, infatti, noi camminiamo in mezzo a persone e a cose, a urla e a risa, a fatti drammatici e a momenti banali. Talora corriamo perché lo stile di vita moderno ci impedisce di procedere con distacco, imponendoci spesso un ritmo frenetico. In questo nostro muoverci e agitarci ci sembra di avere capito il senso delle esperienze che abbiamo vissuto, tanto da poterle dire agli altri e a noi stessi. E, invece, è necessario fermarsi e "voltarsi indietro". Non in una nostalgica ricerca del tempo perduto o in malinconico rimpianto che ci blocca, come la moglie di Lot, rendendoci simili a un
masso inerte. No, dobbiamo far scorrere il filmato della nostra vita per capirlo in profondità e per giudicarlo. Era questo il senso di quell'esame di coscienza che un tempo era una pratica spirituale raccomandata. Solo con questo "voltarsi indietro" serio e penetrante si può andar avanti consapevolmente.
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