venerdì 11 marzo 2011
Pensare meno, ricordare e immaginare e aspettare meno. Prendere subito quello che c'è e basta. Vivere il momento.

Se per caso avete ancora da qualche parte il giornale di ieri, provate a rileggere un paragrafo dello scrittore Mark Twain che là proponevo. Ne rievoco solo l'avvio: «Non facciamo altro che sentire, e l'abbiamo confuso col pensare». Ebbene, oggi cito uno scrittore contemporaneo, Andrea De Carlo, nato a Milano nel 1952 ma vissuto a lungo in Australia e negli Stati Uniti, tanto da saper pubblicare il suo romanzo, Treno di panna, in italiano e in inglese (Cream Train). La sua considerazione riflette una scelta che è quasi un programma per le giovani generazioni (ma non solo per esse). Il pensare è sempre più anchilosato, il ricordare è spento, l'immaginare è rattrappito, l'attesa è dissolta. Tutte queste attività alte che costituivano una sorgente di vitalità per la ricerca umana e spirituale sono state abbandonate come relitti inutili.
Troppe persone ai nostri giorni sono ferme in quell'incrocio tra passato e futuro che è il "momento", un presente grigio e statico, radicalmente diverso da quell'"istante" perfetto a cui il Faust di Goethe aspirava come a uno stato di pienezza "puntuale", ossia eterna e traboccante. No, ora ci si accontenta di quel che è lì davanti, lo si afferra, ci si nutre e ci si rimette seduti ai bordi del fiume del tempo e della storia. De Carlo incarna in questo progetto di vita un modello che, certo, critica ed evita le illusioni delle ideologie o la retorica del progresso. Ma alla fine condanna solo a "sentire" e non più a pensare, a ignorare e non più a ricordare, a raggelare la fantasia e non più a sognare, a rassegnarsi e non più a sperare.
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