venerdì 13 dicembre 2019
Ho partecipato da posizioni molto secondarie ad almeno due avventure radiofoniche che considero importanti. Parlo di Radio Popolare a Milano, negli anni d'oro di Piero Scaramucci, Biagio Longo, Bruna Miorelli, Rinaldo Gianola, Paolo Hutter e tanti altri; parlo di Rai Radio 3 al tempo della direzione di Roberta Carlotto e poi a quella, ancora fortunatamente in corso, di Marino Sinibaldi. In ognuno dei due casi credo di essere agito anche un po' da rompiscatole, da scontento cronico che cerca il meglio, e piuttosto il risveglio delle intelligenze che non la loro (consumistica) tranquillità. Si parlava un tempo, nel movimento operaio, di "codismo" per chi andava dietro alle mutazioni nelle idee delle "masse" pur di mantenervi un ruolo di guida, e spesso le radio hanno peccato di codismo, volendo piacere piuttosto che - come è doveroso, sempre! - dispiacere. Ma che fortuna, che ci siano ancora, pur con i loro (spesso necessari, e talora perfino utili) compromessi con il pubblico e le sue evoluzioni (o involuzioni), dei luoghi come quelli che ho ricordato, per esempio come Radio3. Se Radio 3 mi mancasse, mi sentire oggi privato di un braccio, o meglio: di un orecchio! Tra i modi di usare bene le radio un libro abbastanza recente, Scrittori alla radio di Rodolfo Sacchettini (Firenze University Press, 140 fitte pagine con molte illustrazioni, euro 14,90) mi ha ricordato certe appassionate esperienze di ascoltatore bambino o adolescente nella provincia del dopoguerra in cui sono cresciuto. La radio fu di grande ed educata compagnia, prima dell'invadente televisione. Sacchettini ne analizza con competenza e chiarezza lo spazio che essa riservò agli scrittori, non solo ovviamente in Italia. La radio cerca la sua forma, aveva scritto proprio in Italia il grande Rudolf Arnheim in un saggio degli anni Trenta, e l'andava trovando anche sul fronte dell'educazione popolare, di massa, di popolo. Non offriva soltanto le radiocronache del calcio e dei "giri" d'Italia o Francia, le notizie del giornale radio, le orchestre e canzoni di successo, offriva anche il "Convegno dei cinque" dove noti intellettuali discutevano in modi comprensibili dei massimi problemi e dell'attualità politico-culturale, e coinvolgeva tanti scrittori - dando loro in mano le regole per un buon lavoro scritte da un formidabile funzionario che si chiamava Carlo Emilio Gadda! - e affidando loro anche un campo particolare come fu quello del radiodramma. E' su questo che Sacchettini ci dà le notizie più appassionanti, che non riguardano solo l'Italia, ché il radiodramma ebbe una enorme fioritura negli anni trenta Usa e dopo la guerra in Germania, dove ne scrissero fin la Bachmann o Boell, e in Inghilterra, dove ne scrisse perfino Dylan Thomas. Ci fu un tempo in cui dicevamo "viva la radio e abbasso la televisione", oggi bisognerebbe forse dire viva la radio e abbasso i social. Anche se, lo sappiamo, è stato il gran chiacchiericcio demagogico di tante radio non di Stato degli anni settanta e seguenti a preparar loro il terreno.
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