venerdì 31 marzo 2023
«Che silenzio, che calma, che solennità! Com’è tutto diverso da quando correvo» dice a sé stesso il principe Andrej Bolkonskij, mentre giace a terra dopo essere stato ferito nel corso della sanguinosa battaglia di Borodino. In Guerra e pace più che mai Tolstoj sa come nessun altro dipingere l’animo umano, e lo fa attraverso la descrizione del raggio di visuale di Bolkonskij: raggio a un tratto cambiato, ora proteso solo verso l’alto, sguardo verticale, e spirituale. «Sopra di lui non c’era già più nulla se non il cielo: un cielo alto, non limpido e tuttavia di un’altezza incommensurabile, con grigie nuvole che vi fluttuavano silenziose». Una pagina che a rileggerla sempre incanta. Quegli occhi che mutano di raggio e prospettiva, occhi che sentendo arrivare la fine si acquietano, e acquietandosi vedono, scrutano a fondo senza più frenesia, colgono luci e volumi che nella fretta del vivere corrivo sempre sono sfuggiti allo sguardo. Arriva una nuova pace, e con essa un sentimento di Dio come non è stato prima. Ma il primo segnale di quel cambio di passo, la prima, inequivocabile traccia che il corpo ferito a morte manda allo spirito, sta in quel nuovo posarsi degli occhi sulle nuvole in cielo, liberi e non più catturati dalle faccende che bramose e insensate scalpitano in terra. © riproduzione riservata
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