giovedì 18 agosto 2016
Rifugio Lagazuoi (Dolomiti bellunesi), agosto – Da qui si dominano le Dolomiti orientali. Sopra alle trincee della Grande Guerra, la terrazza del rifugio è uno straordinario belvedere. A 2.752 metri di altezza l'aria è tagliente e tersa. Ronza nel silenzio delle cime il motore della funivia che sale dal Passo Falzarego: ne sbarcano turisti che socchiudono gli occhi, accecati dal sole e dalla bellezza. Sotto a questo gran cielo ecco le spalle delle Tofane, imponenti, e i ripidi camminamenti dei soldati austriaci. Come tutto, quassù, sembra prosciugato, riarso, quasi che la terra si esaurisse e si donasse nel cielo. Percorro lentamente l'assito di legno del terrazzo e guardo all'orizzonte. Eccovi, ci siete tutte, mi dico, e mi intenerisco. Vi chiamo per nome: Faloria, Sorapiss, Antelao. In verità, faccio l'appello delle cime della mia infanzia, a lungo contemplate da valle, in pigri infiniti pomeriggi d'estate.Vi ritrovo una a una, con le vostre moli giurassiche e i picchi fragili e arditi sul nulla. Considero attentamente ogni frammento del vostro profilo, come guardassi un volto ritrovato dopo tanto tempo. Sì, siete voi, identiche, vi riconosco. E questa certezza mi conforta. Mi chiedevo, ragazzina: sarete uguali quando io sarò grande, e poi vecchia? E mi rassicurava pensare che almeno voi sareste rimaste salve dal tempo. Mi sposto di qualche passo e proseguo l'appello. Il Nuvolau, eccolo, con quel nome che mi piaceva tanto: mi faceva pensare al convegno di grosse nuvole nere, che su quelle rocce si dessero appuntamento e, come in un crocchio di streghe, si accordassero perché la tempesta fosse perfetta. Il Nuvolau è lo stesso, con il rifugio in cima, come il nido di un'aquila. Ma i miei occhi ora si fermano sulle Cinque Torri, e qui mi coglie qualcosa di simile a un dolore. No, non tutto è esattamente come un tempo. Nella notte del 1 giugno 2004 una torre minore del gruppo, la Trephor, è crollata. Era buio ancora, e nessuno ha visto l'attimo in cui la stele di roccia, dopo una strenua infinita lotta, ha ceduto all'usura delle piogge e del ghiaccio. Aveva resistito per millenni. Poi, quella notte, il collasso: come crolla un vecchio, colpito da un infarto. E io mi immagino la torre che si frantuma, in un boato di inferi, dentro a una tempesta di polvere; e quando questa si posa restano al suolo, inerti, giganteschi cubi di roccia, il gioco di un gigante fracassato.Sposto lo sguardo, come pietosamente non si indugia sul corpo di un ferito. Dunque, non siete esattamente identiche. Quindi anche voi, lente, rose dal tempo, morite? L'ammirazione primitiva, quasi pagana della mia infanzia ora si fa tenerezza: non siete dee immortali, ma pure voi governate dalla corruzione degli elementi, dal corso inesorabile del tempo. Ora, vi guardo con un altro sguardo. Ora, siete sorelle, infine.
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