Vedere la trama ultras E non vadano oltre
mercoledì 22 febbraio 2023
L’8 gennaio, nel tratto tra Monte San Savino e Arezzo, in Toscana, si verificò l’incredibile episodio degli scontri fra gruppi di ultras delle tifoserie di Roma e Napoli, nel bel mezzo all’autostrada A1. Un’intollerabile espressione di violenza, al di là di ogni richiamo al mondo dello sport, che lasciò allibiti, anche per le modalità: un vero e proprio appuntamento per un gigantesco regolamento di conti. Tuttavia, era sembrato da subito evidente che si stesse preparando qualcosa di più grande. Un ulteriore segnale arrivò il 5 febbraio, quando vicino allo Stadio Olimpico di Roma, dopo il match fra Roma ed Empoli, un commando di persone tese un agguato a ultras giallorossi del gruppo “Fedayn”, ferendo due persone e sottraendo loro gli striscioni. «La Stella Rossa ieri sera ha attaccato gli ultras della Roma e ha preso le bandiere del gruppo “Fedayn”. Per due o tre volte i romanisti hanno corso e sono stati rimontati e accerchiati, abbiamo raggiunto i “Fedayn” e preso tanti striscioni», postarono in prima persona gli ultras della Stella Rossa di Belgrado su Twitter, insieme a un video del raid. Potrebbe sfuggire il legame fra i due avvenimenti e i meno esperti di dinamiche calcistiche si potrebbero legittimamente chiedere perché mai tifosi serbi si siano avventurati da Belgrado fino a piazza Mancini, nella capitale, senza neppure essere al seguito della propria squadra. La risposta è, insieme, semplice e terrificante: perché lo sport non c’entra nulla. C’entrano solo i rapporti di odio o di gemellaggio fra tifoserie: gli ultras della Stella Rossa sono legati a quelli del Napoli e hanno voluto vendicare gli scontri dell’8 gennaio: prima con quel blitz a Roma e poi, domenica scorsa, a Belgrado, dove nella loro curva hanno esposto, rovesciato, quello striscione rubato ai “Fedayn” romanisti, prima di darlo alle fiamme. L’escalation sembra non fermarsi: durante Napoli-Cremonese allo stadio Diego Armando Maradona, nella curva napoletana è comparsa, non casualmente, una bandiera serba e ora, con enorme preoccupazione, si guarda al 10 marzo, giorno in cui nella Eurolega di basket, ad Atene, si affronteranno il Panathinaikos, la cui tifoseria è molto vicina a quella romanista, e proprio la Stella Rossa di Belgrado. Mancano venti giorni, ma la tensione è già altissima, e in Grecia si temono scontri violentissimi. Sembra incredibile, soprattutto in questi tempi di guerra nel cuore dell’oriente europeo, la cui potenziale escalation terrorizza il mondo intero. Eppure, nel mondo delle tifoserie più radicali, sta succedendo la stessa cosa: una spirale di violenza e odio che supera i confini nazionali e diventa trasversale agli sport. Occorre agire il più in fretta possibile, prima che sia troppo tardi. Questa miccia sembra innescata, fuori controllo, ed è altissimo il rischio che si passi dagli sfottò alla violenza, dalla violenza alla criminalità, dalla criminalità all’incidente fatale. Servono appelli affinché i toni si abbassino, ma soprattutto servono azioni per prevenire quello che appare scontato. Non sentiamo davvero il bisogno di una riedizione di quella che Ryszard Kapuœciñski descrisse nel 1969 fra El Salvador e Honduras e chiamò «La prima guerra del football». Non abbiamo bisogno di guerre mai e tantomeno oggi, quando, da un anno a questa parte, sono entrate nelle nostre case, ogni giorno, le immagini mostruose con cui ogni guerra, qualunque sia il suo fattore scatenante, si accompagna. Se davvero siete tifosi, se davvero amate lo sport, fermatevi! © riproduzione riservata
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