venerdì 17 giugno 2005
Quel che ci rende insopportabile la vanità degli altri, è il fatto che offende la nostra.Lo zero, non volendo andar in giro nudo, s'è vestito di vanità.
Quando ho qualche difficoltà a trovare la citazione quotidiana per il "Mattutino", tento sempre la via delle Massime di quello scrittore moralista del Seicento che fu La Rochefoucauld. Così ho fatto oggi ricorrendo al primo motto sopra evocato. Siamo sempre pronti a ironizzare sulla vanità degli altri e lo facciamo tenendo ben dispiegata la raggiera del nostro pavoneggiarci. "Io, sì, che avrei ragione di vantarmi per quello che faccio": è il sottile e inconfessato retro-pensiero che in quel momento ci percorre mente e cuore. Mentre, dunque, citavo La Rochefoucauld e il monito sull'invidia e il fastidio per la vanità altrui, m'è venuta alla memoria un'altra frase.E' la seconda che ho trascritto e che ho preso dai Miserabili, il notissimo capolavoro di un altro scrittore francese, Victor Hugo. Le sue sono parole sacrosante. La vanagloria è il sontuoso abbigliamento di chi è in realtà uno zero. Vacuo, fatuo, inconsistente, eppure capace di farsi credere solido, ragionevole, pacato, sostanzioso: è questo il ritratto di molti in un tempo segnato dall'apparenza, dall'acconciatura, dall'agghindarsi, anche se «sotto il vestito niente», come diceva il titolo di un filmettino. Peggio ancora quando la vanità diventa superbia, boria, presunzione sprezzante, millanteria arrogante. Il fanfarone può essere patetico, ma il megalomane può essere pericoloso e delirante. Proviamo, invece, un po' di più a rincorrere questi aggettivi desueti: modesto, semplice, umile, schivo, riservato, misurato"
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: