giovedì 29 marzo 2007
Quelli che impiegano male il tempo sono i primi a lamentarsi che passa troppo in fretta. L'agenda che ho di fronte mi dice che ho ancora 277 giorni da vivere (se Dio vorrà) nel 2007, ma che 88 sono già svaniti. Mi viene il desiderio di ritornare su un tema che da parecchio non propongo, quello del tempo. Su questa realtà si è accanita per secoli l'acutezza dei filosofi più ancora degli scienziati, anche perché si tratta di una delle dimensioni capitali della nostra esistenza, molto più rilevante dello spazio che rimane pur sempre un po' esterno a noi. Ogni ora che gocciola via non è, infatti, solo uno scatto dell'ideale orologio cosmico, è soprattutto una porzione della nostra vita che si consuma. Jean La Bruyère, scrittore moralista del '600, nei suoi Caratteri, non di rado ospitati in questa rubrica, ci offre una delle tante considerazioni sull'uso del tempo. Potremmo trascriverla con un'esperienza che tutti fanno: quando si ha un favore da chiedere a un altro, non bisogna mai andare da chi ha poco da fare, perché ti dirà sempre che è troppo preso e occupato. Va', invece, dalla persona dalle mille attività e vedrai che ritaglierà il tempo per aiutarti. E questo non sempre perché il primo è pigro, quando piuttosto perché «impiega male il tempo» e, quindi, pur avendo davanti a sé un arco di giorni ampio, si lamenterà sempre che «il tempo passa troppo in fretta». Saper usare bene il tempo è un'arte e non solo una virtù. Vorrei concludere con una variazione sul tema, desumendola dall'Arte di amare di Erich Fromm: «L'uomo moderno fa le cose in fretta per non perdere tempo, ma poi non sa che fare del tempo guadagnato, se non ammazzarlo».
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