giovedì 23 dicembre 2004
Sei ancora quello della pietra e della fionda,/ uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,/ con le ali maligne, le meridiane di morte,/ t'ho visto dentro il carro di fuoco, alle forche,/ alle ruote di tortura./ T'ho visto: eri tu,/ con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,/ senza amore, senza Cristo" Salvatore Quasimodo scriveva questi versi nel 1947 in Giorno dopo giorno, avendo alle spalle la seconda guerra mondiale. A distanza di più di mezzo secolo non è che l'"uomo del nostro tempo" sia cambiato di molto rispetto a chi era contemporaneo del poeta o all'uomo primitivo che usciva dalla caverna armato di pietra e fionda. Anzi, gli strumenti di morte si sono fatti ben più sofisticati: aerei, sistemi di puntamento, carri armati, torture ed esecuzioni capitali si sono raffinati ed evoluti, sì, ma in peggio, in forme ben più crudeli e devastanti. Ed è significativo che un poeta che ebbe con la religione un rapporto piuttosto distaccato come fu Quasimodo metta alla fine quelle parole: «senza amore, senza Cristo». È inutile svicolare verso altri lidi, è solo nella riconquista di quella sponda ove risuona l'evangelo autentico, senza glossa o compromessi, ove si erge quella figura misteriosa eppur vicina che è possibile almeno arrestare la «scienza esatta persuasa allo sterminio» e ritrovare la sapienza libera dello spirito che ci persuade a non rispondere al male col male, inanellando una catena di morte senza fine. È questa l'anima genuina del Natale alle cui soglie stiamo forse sostando con la solita superficialità e banalità.
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