domenica 10 marzo 2013
Albacete, Spagna, luglio 2006 - Da qui a Toledo la Mancha si allarga sull'altopiano della Meseta. Una distesa all'apparenza infinita di terra piatta, bruciata, all'orizzonte lontane colline rosse. La strada è dritta e deserta, il sole è proprio sopra di noi, e attorno solo l'estate, torrida. Dai sedili posteriori tacciono i ragazzi, affascinati e inquieti. Questo deserto ci incute soggezione. Vai, vai, e nessuno. Rare fattorie candide, isolate. (Com'era, un tempo, vivere qui tutta la vita?). Qualche vecchio mulino a vento, le pale ferme nell'aria bruciante.Finalmente un villaggio: quattro case, una chiesa, un bar vuoto. Perfino le mosche dormono sui vetri, a quest'ora.E poi di nuovo la strada per Toledo è una retta che si perde all' orizzonte. Un grifo vola adagio in tondo, cercando una preda. Un gregge pascola sotto lo sguardo di un vecchio immobile. Nel cielo di zaffiro non c'è la minima traccia di nuvola. Che cosa è splendido, e nello stesso tempo spaventa nella Mancha riarsa?Qui non ci sono fiori di cui meravigliarsi, né foreste in cui perdersi, né città in cui incontrarsi, o mercati dove scambiare ricchezze. Qui non c'è niente. C'è solo il proprio respiro, e uno sterminato orizzonte. Nella Mancha è evidente, che vivere è un'attesa. E si tace dunque, come davanti a ciò che è sacro.
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