giovedì 21 febbraio 2019

Nel 2001, proprio il 21 febbraio, monsignor Jorge Mario Bergoglio diventava cardinale. Mi sono imbattuta, pensando a lui, in due immagini apparentemente lontane che disegnano i termini di un pontificato, anzi forse, di un'epoca. Davanti a me la riproduzione della cosiddetta Pala di Brera di Piero della Francesca dove l'artista pone, accanto alla vergine Madre, il Santo di Assisi, di cui l'attuale pontefice porta il nome. Un san Francesco così non si era mai visto: in carne, senza barba (in opposizione al Celano e per compiacere alla curia Pontificia) e soprattutto con una croce di cristallo.

Una croce di roccia a dire che la vera rocca sulla quale fondare la vita è Cristo. San Francesco, porgendo la croce, sembra invitare noi tutti, ma soprattutto i grandi della storia entro i quali Federico da Montefeltro si annoverava, ad affondare lo sguardo lì, per carpire i segreti di un governo ispirato.


Un istante più tardi mi trovo casualmente di fronte a un'altra croce, molto strana, accompagnata da un titolo: Laminina, la colla di Dio.

La lettura mi affascina: questa proteina fibrosa, contenuta nella matrice extracellulare, svolge funzioni principalmente adesive, favorendo il congiungimento delle cellule epiteliali con la lamina basale. Insomma, in termini del tutto profani, sarebbe il collante che tiene insieme tutta la struttura delle cellule che compongono il corpo degli esseri umani. La notizia non è nuova, né recente e, naturalmente, il mondo dei media pullula di esagerazioni o di opinioni contrarie che non mancano di sferrare le loro lance contro una fede “invasiva” entro il campo medico. Mi astengo dagli uni e dagli altri e resto in ciò che è certo: la laminina svolge una funzione fondamentale ed è a forma di croce latina. E se è vero che i nostri padri non mancavano di vedere ovunque il segno della croce: nelle vele delle imbarcazioni, nelle ancore, nelle ali degli uccelli in volo, perché noi post contemporanei non dovremmo scorgerne la potenza nella biologia, oggi, tanto profanata?

E mi sorprendo a rimirare il nostro san Francesco. A sua totale insaputa, il lungimirante Piero, ce lo aveva già indicato: nelle fibre più nascoste del nostro essere c'è una croce luminosa, come la croce di cristallo del patrono d'Italia. Sarà forse per questo che il mistero dell'iniquità tanto si abbatte sugli esseri umani e, soprattutto, su quanti sono immersi nell'acqua in nome di questo segno trinitario? Il nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, infatti, mette tutti noi (battezzati) sotto il segno della croce fin dai primi vagiti. Noi che siamo seguiti dal Vicario di Cristo con un pastorale che, della croce, evoca l'efficacia. Che la croce poi nel nostro organismo funga da collante è sorprendente! Certo ci sono proteine con svariate forme, anche a forma di mezzaluna (che è la proteina responsabile dell'obesità), ma è il connubio “forma funzione” ad essere stupefacente. Di là dalle mille considerazioni possibili, resta l'ambivalenza di significato del segno: la croce è un più, aggrega. Il negativo dell'uomo è il positivo di Dio. In un momento così cruciale (ed è proprio il caso di dirlo) della storia d'Italia, in tempi così burrascosi della storia della Chiesa, San Francesco, l'alter Christus per eccellenza a braccetto con la scienza, ci invita a fissare lo sguardo sulla croce. Da lì soltanto possono maturare sguardi nuovi, capaci di ricostituire l'unità nazionale e una nuova certezza per il futuro del paese e della cristianità.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI