Universale o plurale: dove sta la verità?
venerdì 10 gennaio 2020
Da quando tutti i rapporti internazionali si sono globalizzati con una velocità mai conosciuta in passato e gli effetti di qualunque tipo di cause (economiche, culturali, politiche) ce li vediamo arrivare in casa e in famiglia da un giorno all'altro, da allora è anche enormemente aumentata l'importanza pratica di giudicare che cosa è bene o male, vero o falso, giusto o ingiusto, bello o brutto. Quanto più la coesistenza ravvicinata di varie culture e condizioni sociali sembra imporre una visione universalistica che faciliti la comprensione reciproca dell'accordo, tanto più siamo costretti a constatare la pluralità dei criteri di valore, dei punti di vista, dei modi di conoscenza, degli interessi materiali. Il mondo è uno, ma è anche tale in quanto si presenta come una pluralità di connessioni fra realtà oggettive e soggettive diverse. Dunque: è bene che prevalga l'universalismo culturale o il pluralismo culturale? L'esperienza quotidiana, anche in ambiti ristretti e privati, municipali e nazionali, ci dice che un universalismo ideale che non preveda un pluralismo reale è destinato a fallire. Mentre ogni tipo di filosofia e di scienza tende a studiare la realtà umana cercando di stabilire leggi e teorie generali, ogni genere di esperienza tende invece a rivelarci che la realtà resta poco prevedibile, piuttosto sorprendente e più varia di quanto prevedono le teorie. Se ci si rivolge alle verità religiose stabilite per indiscutibile autorità divina, è per liberarsi dall'ansia, dall'angoscia di constatare l'instabilità, l'imperfezione, i limiti di tutto ciò che sappiamo o crediamo di sapere e dei nostri stessi desideri. Ci sono diversi tipi di verità: scientifica, religiosa, logica, storica. Ma moralmente e socialmente la verità è ciò che si vive e come si vive. I valori reali non sono quelli dichiarati o immaginati, ma quelli che producono i nostri comportamenti e si rafforzano in essi, diventando abitudini dalle quali possiamo immaginare di essere liberi, ma di cui quasi sempre non proviamo neppure a liberarci. Un solo macroscopico esempio. L'Europa dichiara di essere cristiana, democratica, sapendo anche di essere capitalistica. Qualcuno ha detto che la vera legge fondamentale che governa le nostre società è l'economia capitalistica, qualcun altro ha voluto radicalizzare l'idea dicendo che il capitalismo è una religione, dato che ci impone quella “fede” infrangibile che è il nostro stesso modo di vivere. L'Europa si crede più cristiana e più democratica di quanto dimostra di essere, perché prima valgono il denaro, le banche, i mercati, i consumi. Quanta libertà ci lasciano? Crediamo di avere un'identità, invece ne abbiamo almeno tre, poco o per nulla conciliabili.
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