giovedì 6 ottobre 2011
Esiste una cosa sola che ci fa male ed è questa che noi desideriamo fare. Se, invece, ci sforziamo di compiere gesti buoni o virtuosi, la scelta è così grande e ampia che alla fine ci stanchiamo già prima di decidere.

Questa considerazione, contenuta nei suoi Racconti di New York (Bur-Rizzoli 2010), divenne disgraziatamente proprio la guida infelice della sua vita. Bellissima, geniale, giunta in America dalla nativa Irlanda, Maeve Brennan fu una delle giornaliste più acclamate scrivendo sul prestigioso New Yorker. Ma verso i cinquant'anni imboccò la via che la poteva annientare: alcolizzata, visse un'esistenza da emarginata fino alla morte avvenuta nel 1993. Quante volte è accaduto anche a me di incontrare persone che avevano mille possibilità di realizzazione per intelligenza, bellezza, umanità e persino per mezzi concreti. E, invece, avevano scelto l'unica strada sassosa e a fondo cieco che li aveva fatti cadere nel fango e nel vuoto.
L'arcobaleno del bene ha infinite tonalità che permettono creatività, fantasia, libertà, immaginazione. Il male è ripetitivo e anche quando si dice che le perversioni sono infinite, in realtà il loro colore è monocromo e cupo: si pensi solo alla bieca reiterazione della pornografia. Eppure, spesso ci si lascia comprimere in quella strettoia e si procede scivolando verso il basso in modo quasi autolesionistico. Al contrario, quando si è di fronte alla «grande e ampia scelta» del bene, si rimane in attesa, inerti, senza il coraggio di avviarsi con un balzo lungo una di quelle strade. Manzoni, nei Promessi Sposi, scriveva: «Si dovrebbe pensare più a far bene che a star bene: e così si finirebbe a star meglio».
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