mercoledì 19 luglio 2006
In cielo c'è una stella per ognuno di noi, sufficientemente lontana perché i nostri errori non possano mai offuscarla. So che non pochi miei lettori amano lo scrittore francese Christian Bobin, molto tradotto in Italia. Personalmente, pur apprezzandolo, ho qualche riserva per alcuni suoi eccessi di sentimentalismo e di enfasi e mi rimane sempre la nostalgia dei grandi francesi del '900 (Péguy, Bernanos, Claudel, Mauriac, Green, Camus, Bonnefoy etc.) di molto più alti e intensi. Tuttavia Bobin con le sue semplici intuizioni e la sua pacata serenità può deporre un seme di speranza e di ascolto all'interno di questi tempi così "deboli" nel pensiero e nell'agire, incapaci di gustare la forza veemente dei grandi che ho citato. Così, da Resuscitare (Gribaudi) estraggo le parole sopra citate che esprimono un anelito di purezza e di trasparenza. Col nostro male, con l'egoismo e l'orgoglio riusciamo a sporcare spesso la terra in cui ci muoviamo, ad ammorbare il tempo in cui operiamo, a ferire le persone che ci attorniano. Eppure il male non riesce a contaminare tutto l'orizzonte: ci sono sempre spazi intatti in noi e fuori di noi, simili a quelle stelle che occhieggiano vivide in cielo. È appunto quella luce che irradia la tenebra e si rivela più forte dell'oscurità, pur con la sua piccolezza. Come scriveva ancora Bobin in un'altra sua opera, La luce del mondo (Gribaudi), è «una luce che resta, è come un fiore che non ha bisogno del sostegno di alcuno stelo». È una luce che non viene dal mondo ma dal cuore puro, simile al cielo azzurro, e che si fa «gesto generoso e parola fresca».
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