lunedì 24 giugno 2002
Ho sognato di camminare in riva al mare col Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata. Per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme: la mia e quella del Signore. Ma in alcuni tratti ho visto una sola orma, proprio nei giorni più difficili della mia vita. Allora ho detto: «Signore, tu mi avevi promesso di essere sempre con me. Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?» Ed egli mi rispose: «Figlio, io non ti ho mai abbandonato: i giorni nei quali c"era una sola orma sulla sabbia erano proprio quelli in cui ti ho portato in braccio». Qualche mese fa alla Messa per la moglie morta di un mio amico fu letta questa sorta di parabola, attribuita di solito a un "anonimo brasiliano". In quel momento diventava quasi come il suo testamento di fiducia, lasciato al marito e ai figli ai quali sembrava di essere soli nel cammino della vita, senza la presenza di quel Dio che in altri giorni li aveva accompagnati. La sofferenza ha, certo, un volto oscuro, fin mostruoso. Eppure è - come tutti i misteri - indefinibile con un"unica immagine. Può essere anche sorgente di purificazione, può farti riscoprire i veri valori, cancellare le illusioni, renderti più umile e umano. Ma soprattutto può far balenare il volto stesso di Dio: è ciò che, in ultima analisi, insegna il libro di Giobbe che, solo percorrendo la galleria oscura del dolore, incontra il vero Dio («Io ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti vedono!»). È per questo che il giorno del dolore è anche il momento della grande scelta: o per la bestemmia, l"apostasia, la disperazione o per la scoperta viva, autentica, intensa del Dio che ti prende in braccio.
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