domenica 27 agosto 2006
Quando fai del bene, non mancare di riguardo verso chi non ne fa, non ti inorgoglire sprezzantemente di fronte a lui. In lui non è ancora spenta la grazia di Dio che può sempre farlo diventare un altro. Domani la liturgia ricorda s. Agostino, uno dei grandi geni dell'umanità, sommo teologo e Padre della Chiesa. Ho scelto dal suo De vita christiana questo ammonimento che infligge una frustata a un certo atteggiamento ipocrita, tipico di coloro che «presumono di essere giusti e disprezzano gli altri», per usare l'espressione con cui Luca introduce la parabola del fariseo e del pubblicano (18, 9). Ci sono, infatti molti che considerano automaticamente fuori dall'orizzonte della salvezza quelli che rivelano un aspetto, un comportamento e una collocazione differente dal proprio profilo perbene. Si ergono, così, come giudici e allargano la ruota della loro bontà e giustizia con cui si pavoneggiano. Ebbene, s. Agostino ricorda una verità di cui era stato testimone nella sua stessa vicenda personale: la grazia divina che muove i cuori è sempre celata nell'anima di tutti, anche del fratello o della sorella che tu disprezzi e giudichi. Anzi, quella scintilla divina può esplodere e trasfigurare l'altro fino a farne una nuova creatura. È, questo, l'ottimismo della fede che Cristo ha spesso attestato contro i pedanti perbenisti, nella convinzione sorprendente che prostitute, pubblicani e peccatori potranno persino precederci nel regno di Dio. Nel suo commento ai Salmi, s. Agostino scriveva questa battuta che merita di essere meditata lentamente e umilmente: «Sforzati di essere ciò che tu vorresti che tuo fratello sia e non pretenderai più che egli sia ciò che tu non sei».
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