martedì 5 marzo 2013
Verona, ottobre 2005 – Sul comodino il caffelatte è intatto. Accanto, un vecchio orologio da polso e un Rosario: tutto quello che un missionario ha riportato a casa, dopo 57 anni in Africa. Nella casa madre dei comboniani a Verona padre Francesco Rinaldi Ceroni, 81 anni, è tornato a morire. Ma ha scritto una lettera al giornale, e sono venuta a cercarlo. Non ne ha per molto: il volto livido, prosciugato, non lascia dubbi. Eppure, come nel dovere di un'ultima testimonianza, racconta. Di quella volta nella savana che, aggredito dai briganti, li sfidò: «Ammazzatemi pure, nel mio Dio io ho vissuto più di tutti voi». E la soldataglia, sbalordita, lo lasciò andare. La coscienza viene e va, il malato si assopisce. Mi guardo attorno, nella candida nudità della stanza. Il crocefisso sul muro. La goccia della flebo scandisce il tempo come un orologio. Lui si risveglia: «Io posso testimoniare – dice, la voce affannata – che quando si porta Cristo gli uomini cambiano, e cominciano a operare». Di nuovo, dorme. Strana intervista: fatta di silenzi, più che parole. Lo guardo: mi pare di averlo già visto, ma dove? Quel viso terreo, consumato dal dolore. Capisco: sembra un Cristo di El Greco. Mi congeda, infine: «Che Dio la benedica». Quella benedizione addosso: come una mano che, generosa, perdona.
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