Una goccia di luce nascosta nel cuore di tutte le cose
giovedì 14 dicembre 2017
III Domenica di Avvento
Anno B

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Venne Giovanni, mandato da Dio, per rendere testimonianza alla luce. «Il più grande tra i nati da donna», come lo definisce Gesù, è mandato come testimone, dito puntato a indicare non la grandezza, la forza, l'onnipotenza di Dio, bensì la bellezza e la mite, creativa pazienza della sua luce. Che non fa violenza mai, che si posa sulle cose come una carezza e le rivela, che indica la via e allarga gli orizzonti.
Il profeta è colui che guida l'umanità a «pensare in altra luce» (M. Zambrano).
E lo può fare perché ha visto fra noi la tenda di uno che «ha fatto risplendere la vita» (2 Timoteo 1,10): è venuto ed ha portato nella trama della storia una bellezza, una primavera, una positività, una speranza quale non sognavamo neppure; è venuto un Dio luminoso e innamorato, guaritore del disamore, che lava via gli angoli oscuri del cuore. Dopo di lui sarà più bello per tutti essere uomini.
Giovanni, figlio del sacerdote, ha lasciato il tempio e il ruolo, è tornato al Giordano e al deserto, là dove tutto ha avuto inizio, e il popolo lo segue alla ricerca di un nuovo inizio, di una identità perduta. Ed è proprio su questo che sacerdoti e leviti di Gerusalemme lo interrogano, lo incalzano per ben sei volte: chi sei? Chi sei? Sei Elia? Sei il profeta? Chi sei? Cosa dici di te stesso?
Le risposte di Giovanni sono sapienti, straordinarie. Per dire chi siamo, per definirci noi siamo portati ad aggiungere, ad elencare informazioni, titoli di studio, notizie, realizzazioni. Giovanni il Battista fa esattamente il contrario, si definisce per sottrazione, e per tre volte risponde: io non sono il Cristo, non sono Elia, non sono... Giovanni lascia cadere ad una ad una identità prestigiose ma fittizie, per ritornare il nucleo ardente della propria vita. E la ritrova per sottrazione, per spoliazione: io sono voce che grida. Solo voce, la Parola è un Altro. Il mio segreto è oltre me. Io sono uno che ha Dio nella voce, figlio di Adamo che ha Dio nel respiro. Lo specifico della identità di Giovanni, ciò che qualifica la sua persona è quella parte di divino che sempre compone l'umano.
«Tu, chi sei?» È rivolta anche a noi questa domanda decisiva. E la risposta consiste nello sfrondare da apparenze e illusioni, da maschere e paure la nostra identità. Meno è di più. Poco importa quello che ho accumulato, conta quello che ho lasciato cadere per tornare all'essenziale, ad essere uno-con-Dio. Uno che crede in un Dio dal cuore di luce, crede nel sole che sorge e non nella notte che perdura sul mondo. Crede che una goccia di luce è nascosta nel cuore vivo di tutte le cose.
(Letture: Isaia 61,1-2.10-11; Luca 1, 46-54; 1 Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni 1,6-8.19-28)
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