venerdì 3 giugno 2011
Gli animali selvaggi non uccidono mai per divertimento. L'uomo è la sola creatura per cui la tortura e la morte dei suoi simili possono essere in sé divertenti.

Leggo queste righe in un articolo di una rivista tedesca e istintivamente il pensiero mi corre agli orrori nazisti, quando le più macabre torture si trasformavano in un sadico passatempo. La considerazione è attribuita a uno storico inglese dell'Ottocento, James A. Froude, e coglie un aspetto tragico dell'umanità. L'animale attacca l'altro, se è a sua volta attaccato oppure lo fa per la sua sopravvivenza. L'uomo, dotato di creatività, di fantasia, di libertà, piega queste doti verso il basso, piombando nella crudeltà più atroce, elaborata persino con raffinatezza intellettuale. Mi impressionava fin da ragazzo una tavola del Novissimo Dizionario Melzi, che era un po' il volume delle mie prime curiosità nel sapere: in essa si rappresentavano tutte le torture e lì si poteva toccare con mano quanto possa degenerare l'intelligenza umana nella perversione.
È forse anche per questo che l'antica favolistica (a partire dalla biblica asina di Balaam) ha trasformato gli animali in maestri degli umani. Ironicamente il poeta Ezra Pound (1885-1972) nella poesia Meditatio osservava: «Quando osservo attentamente le strane abitudini dei cani, / mi tocca concludere / che l'uomo è un animale più evoluto. / Quando osservo le strane abitudini dell'uomo / ti confesso, amico mio, che resto dubbioso». Siamo certamente più evoluti delle bestie; ma sappiamo anche precipitare in abissi di assurdità, di ferocia e di brutalità da lasciarci dubbiosi di un simile primato. Ci siamo assegnati il titolo di re del creato, ma spesso siamo solo tiranni implacabili. E i cani, talora, levando il loro muso umido verso di noi sembrano quasi chiederci ragione di tanta ottusità e spietatezza.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: