venerdì 25 marzo 2005
L'arte ha bisogno o della solitudine, o della miseria, o della passione. È un fiore alpestre che vuole vento aspro e terreno rude. Impressiona sempre la forza nascosta di una stella alpina che resiste al gelo, alle sferzate dei venti, alla compressione delle rocce per offrire la pallida testimonianza della sua bellezza. Agli occhi di Alexandre Dumas figlio - l'autore del celebre romanzo, divenuto poi dramma (1852), della Signora delle camelie - il fiore alpestre, percosso da «vento aspro» e situato su «terreno rude», è un simbolo della vera arte che richiede ascesi, purificazione, fatica e persino sofferenza. In realtà potremmo dire che questa è anche la legge della virtù. Essa non fiorisce nelle serre troppo comode del benessere, del lusso, della vanità, della superficialità, del vacuo chiacchiericcio. Ha bisogno del severo esercizio della rinuncia, del distacco, dell'impegno. Già l'antico sapiente cinese Confucio nei suoi Colloqui ammoniva che «belle parole e aspetto insinuante sono raramente associati con l'autentica virtù». È per questo che anche Cristo ricorre all'immagine della via o della porta stretta o a quella autobiografica del portare la croce: Luca, come è noto, citando questa frase di Gesù, aggiunge la specificazione del portare la croce «ogni giorno», ammonendo sulla necessità di una paziente, costante e quotidiana fedeltà. Il venerdì santo è, allora, iscritto nella storia di tutti coloro che desiderano vivere seriamente. Un venerdì santo fatto di solitudine, sofferenza, passione ma anche di speranza nell'alba della luce pasquale.
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