martedì 16 ottobre 2007
Il mondo è come un contadino ubriaco. Non si fa in tempo ad aiutarlo a montare in sella da una parte, che subito cade dall'altra.
Non so se a dominare, in questo che è uno degli Apoftegmi di Lutero, sia il realismo o il pessimismo. Certo è che l'immagine è efficace, anzi icastica, nel rappresentare gli sbandamenti della società. Forte è, infatti, la tentazione di considerare il mondo in preda alla follia o a un'ubriacatura incontrollabile, soprattutto quando si notano certi gesti insensati, le scelte sconsiderate, le reazioni isteriche che non affliggono solo la vita dei singoli ma anche la storia dei popoli. Shakespeare nella sua opera La dodicesima notte non esitava a dichiarare che «la pazzia se ne va a passeggio per il mondo come il sole e non v'è luogo ove non risplenda».
E non possiamo troppo sbrigativamente tirarci fuori perché dal commettere atti assurdi nessuno è indenne. Era curiosa ma non esagerata l'affermazione del romanziere americano Saul Bellow che nel suo Il re della pioggia (1959) scriveva: «In un'epoca di pazzia, credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia». Un po' tutti siamo infettati dalla sindrome del contadino ubriaco. Detto questo, non bisogna però rassegnarsi e lasciare che quel miserabile abbia a cadere dall'altra parte del cavallo e rimanere a terra. L'impegno per un mondo diverso non deve mai venire meno; anche se sembra dominare la folla degli ubriachi, noi " e lo ricordava pure san Paolo " dobbiamo rimanere sobri e vigili perché l'unica vera colpa è la sfiducia che sfocia in disperazione o in indifferenza.
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