sabato 8 febbraio 2020
Il 25 luglio del 2013, incontrando a Rio de Janeiro gli argentini partecipanti alla Giornata mondiale della Gioventù, Papa Francesco prese un po' tutti alla sprovvista introducendo in quel contesto un nuovo elemento di riflessione. «Io penso – disse – che, in questo momento, questa civiltà mondiale sia andata oltre i limiti, sia andata oltre i limiti perché ha creato un tale culto del dio denaro che siamo in presenza di una filosofia e di una prassi di esclusione dei due poli della vita che sono le promesse dei popoli. Esclusione degli anziani, ovviamente. Uno potrebbe pensare che ci sia una specie di eutanasia nascosta, cioè non ci si prende cura degli anziani; ma c'è anche un'eutanasia culturale, perché non li si lascia parlare, non li si lascia agire. E l'esclusione dei giovani. La percentuale che abbiamo di giovani senza lavoro, senza impiego, è molto alta e abbiamo una generazione che non ha esperienza della dignità guadagnata con il lavoro. Questa civiltà, cioè, ci ha portato a escludere i due vertici che sono il nostro futuro». E il giorno successivo, durante l'Angelus, rendendo spunto dalla festa liturgica dei Santi Gioacchino e Anna, i nonni di Gesù, citando il Documento di Aparecida, lanciò il suo appello per un rinnovato patto tra le generazioni: «I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli anziani perché trasmettono l'esperienza e la saggezza della loro vita. Questo rapporto, questo dialogo tra le generazioni è un tesoro da conservare e alimentare! In questa Giornata della Gioventù, i giovani vogliono salutare i nonni. Li salutano con tanto affetto e li ringraziano per la testimonianza di saggezza che ci offrono continuamente«.
Era la prima volta dall'inizio del suo pontificato che Francesco parlava degli anziani, e certamente per farlo non aveva scelto a caso quell'occasione, la Gmg. Da quella volta Papa Bergoglio non ha mai cessato di insistere su questo tasto, e ancora l'altro giorno l'ha fatto, ricevendo i partecipanti al primo Congresso internazionale di pastorale degli anziani. Denunciando una volta di più «il disorientamento sociale e, per molti versi, l'indifferenza e il rifiuto che le nostre società manifestano nei confronti degli anziani», i quali «chiamano non solo la Chiesa, ma tutti, ad una seria riflessione per imparare a cogliere e ad apprezzare il valore della vecchiaia». Tutto questo, appunto, perché «gli anziani sono il presente e il domani della Chiesa… Sì, sono anche il futuro di una Chiesa che, insieme ai giovani, profetizza e sogna!». E dunque è alla Chiesa, cioè a tutti noi, spetta il dovere di andare incontro ai nonni: «Uscite per le strade delle vostre parrocchie e andate a cercare gli anziani che vivono soli. La vecchiaia non è una malattia, è un privilegio! La solitudine può essere una malattia, ma con la carità, la vicinanza e il conforto spirituale possiamo guarirla». Inoltre, ha aggiunto, gli anziani sono «l'anello indispensabile per educare alla fede i piccoli e i giovani». Invece, «al giorno d'oggi, nelle società secolarizzate di molti Paesi, le attuali generazioni di genitori non hanno, per lo più, quella formazione cristiana e quella fede viva, che invece i nonni possono trasmettere ai loro nipoti». Per questo «dobbiamo abituarci a includerli nei nostri orizzonti pastorali e a considerarli, in maniera non episodica, come una delle componenti vitali delle nostre comunità... Essi non sono solo persone che siamo chiamati ad assistere e proteggere per custodire la loro vita, ma possono essere attori di una pastorale evangelizzatrice, testimoni privilegiati dell'amore fedele di Dio». Sarebbe anche un bel modo di essere d'esempio a una società che, degli anziani, non sembra sapere che farsene.
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