venerdì 19 settembre 2003
Gli uomini mettono in scena delle tragedie perché non credono nella realtà delle tragedie rappresentate nel mondo civile. Gli uomini non si sono accontentati del comico che incontrano sul loro cammino, hanno anche voluto produrlo intenzionalmente. Sono due pensieri per certi versi antitetici (l'uno riguarda il tragico e l'altro il comico), eppure s'incrociano tra loro nella rappresentazione della realtà umana. La prima frase è del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset (1883-1955), autore delle Meditazioni sul Chisciotte, il celebre personaggio che intreccia in sé il comico e il tragico. L'altra è del padre della psicanalisi Sigmund Freud (1856-1939). In sintesi i due autori ci ricordano che l'umanità non si accontenta del ridicolo o del drammatico che ha già nella sua vita e che incontra nella storia, ma ne vuole produrre, rappresentare, ricostruire in proprio dell'altro, in una sorta di furia masochista. Atteggiamento che può anche rivelare un aspetto liberatorio: parlando dei mali che ci tormentano, ci si sente un po' liberati. E' anche un modo per esorcizzare le paure, controllandole e rielaborandole. C'è, però, talvolta un'ostinazione perversa nel ritornare sui nostri errori e sui nostri fallimenti, sulle nostre pochezze e sulle assurdità a cui ci votiamo. Essa è pericolosa perché conduce alla desolazione o al crogiolarsi nel proprio insuccesso o nella sofferenza, senza possibilità di recupero e di redenzione. C'è un appello significativo nel libro di Isaia: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche: ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (43, 18-19). Si deve avere il coraggio di andare oltre il tragico e il comico che incontriamo o produciamo ogni giorno.
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