martedì 6 settembre 2005
Per chi suda il pane quotidiano, il tempo libero è un piacere fortemente sospirato; lo è fino a quando lo si ottiene. Abbiamo da pochi giorni lasciato alle spalle le vacanze, da alcuni tanto sospirate e subito dissolte. Ho voluto proporre, allora, questa considerazione che nel 1930 faceva il famoso economista John M. Keynes nel suo saggio Prospettive economiche per i nostri nipoti. È una riflessione, forse scontata ma non molto considerata, sul desiderio. Quando si è nella miseria, si sogna il benessere come un paradiso; una volta raggiunto e assaporato, esso si rivela non così decisivo e liberatorio. Lo stesso accade per il lavoro e le ferie o la pensione e per tante altre realtà agognate che, una volta conquistate, si rivelano insipide e insignificanti, certamente diverse da quella magia di cui la loro assenza le alonava. Il desiderio è certamente una molla che spinge in avanti la vita e l'agire umano. Un testo sacro hindù, il Dhammapada, lo definisce «la liana dell'esistenza» perché è attraverso questa sorta di fune che si riesce a fare un balzo oltre l'abisso e verso l'alto. Ma c'è una nota da allegare subito a questo aforisma. Appena hai raggiunto la meta luminosa del tuo desiderio, subito t'accorgi che essa è meno gloriosa e affascinante di quanto immaginavi. Pirandello in una delle sue Novelle per un anno ha questa considerazione forse amara, com'era nel suo stile, ma spesso realistica: «Riponi in uno stipetto un desiderio. Aprilo: vi troverai un disinganno». Questi due profili antitetici rendono il desiderio una componente necessaria sia per evitare l'inerzia e la rassegnazione sia per combattere le illusioni, i miraggi e le chimere.
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