venerdì 21 dicembre 2007
Siedo sulla schiena di un uomo, soffocandolo, costringendolo a portarmi. E intanto cerco di convincere me e gli altri che sono pieno di compassione per lui e desidero di migliorare la sua sorte con ogni mezzo possibile. Tranne che scendendo dalla sua schiena.
Da uno scritto minore intitolato Che fare?, saggio che ebbe un suo successo, traggo questa immagine vivace e provocatoria. A proporla è quel grande romanziere russo che è stato Tolstoj (1828-1910), noto anche per la sua sensibilità sociale: egli, al colmo della celebrità, aveva deciso di destinare i notevoli diritti d'autore delle sue opere ai contadini perché potessero acquistare gli ottocento ettari della tenuta di Jasnaja Poljana che in passato egli aveva ceduto ai suoi familiari. Leggendo quelle sue righe, il pensiero va spontaneamente a tutte le forme di sfruttamento che l'umanità nella sua storia ha perpetrato. Dalla schiavitù fino al colonialismo e alle moderne prevaricazioni delle multinazionali e a certi esiti della stessa globalizzazione scorre un filo nero di sopraffazioni e di abusi.
Spesso questi crimini sono stati compiuti anche da chi aveva la bocca piena di parole che andavano nel senso opposto, come socialismo, solidarismo, fraternità, uguaglianza. Ma, senza ricorrere a questi fenomeni storici generali, un po' tutti in qualche occasione della vita ci siamo seduti sulla schiena di un altro approfittando di lui. Pur convinti della validità assoluta del messaggio cristiano sul rispetto della dignità della persona e del valore dell'amore, abbiamo curato il nostro interesse prevalendo sugli altri, forse anche ricorrendo all'ingenuità altrui, adottando la divisa della furbizia e della manipolazione. Un esame di coscienza sulle nostre relazioni sociali diventa, quindi, sempre necessario per essere eventualmente pronti a scendere dalla schiena del prossimo.
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