venerdì 22 luglio 2016
Èlegittimo sostenere che l'Italia è uno dei Paesi meno preparati a ciò che potrebbe accaderle in futuro, per la sua collocazione strategica al centro del Mediterraneo? Ci sono in Italia basi missilistiche e di droni, non solo italiane anche americane, ci sono probabilmente depositi di armi più che letali (né va dimenticato che l'Italia produce e vende armi a molti Stati, come fa da decenni), e ci sono certamente in azione i servizi segreti di più nazioni. Chi ha un'età ricorda il tragico balletto dei servizi segreti di tanti Paesi (Est e Ovest, e Medio Oriente) nell'Italia degli anni della Guerra fredda e delle tensioni nazionali e internazionali che segnarono gli anni Settanta dell'altro secolo, e ha la forte impressione che il balletto sia ricominciato da tempo. Chi è capace di immaginazione, a partire da ciò che quotidianamente accade vicino a noi – per esempio oggi con i tragici avvenimenti della Turchia, dove il prossimo mese vedrà probabilmente scorrere molto sangue tra tutti gli oppositori al regime di Erdogan e non solo tra i golpisti (sostenuti o manovrati da chi?) –, resta sbalordito, soprattutto se gli capita di viaggiare in altri Paesi europei, dalla assoluta impreparazione del nostro popolo a nuovi scenari di guerra. E naturalmente bisogna cominciare subito a fare autocritica, parlando della pochezza dei nostri movimenti pacifisti e della loro assenza dalla scena attiva della protesta e della proposta, non solo con gli scontati riti retorici. Sono convinto che avesse assolutamente ragione papa Francesco quando, già molti mesi or sono, disse che una Terza guerra mondiale era in atto in più parti del mondo; e questa, che allora sembrò a molti una profezia esagerata, vale oggi molto più di ieri. Insomma, siamo circondati da guerre, da tensioni, da spostamenti di popolazioni, da scenari di violenze enormi che non ci colpiscono però direttamente ma di cui noi siamo obbligati, dovremmo essere obbligati a tener conto non solo per le cosiddette ragioni umanitarie e perché «nessun uomo è un'isola», ma anche in ragione della globalizzazione e, ripeto, della nostra posizione geografica, della nostra vicinanza alle zone calde e caldissime di questo presente, di questi anni. Quando si parla di impreparazione del nostro Paese a possibili scenari bellici ancora più vicini di quelli attuali, non si parla di impreparazione militare – sulla quale non posso certamente esprimermi – ma di impreparazione civile e morale. In un Paese dove si direbbe che il popolo abbia smesso di pensare da tempo alla propria stessa sorte e dove destra e sinistra sono un unico centro che straparla attraverso bande e lobby e corporazioni in lotta tra loro e unite però dalla stessa visione del mondo e dalla stessa incoscienza della gravità dei problemi che ci riguardano, a chi rivolgersi per ascoltare moniti sensati? Non certo ai politici, che hanno altro da pensare! Non certo alla stragrande maggioranza degli “intellettuali”, ancorati e inchiodati a una quotidianità senza progetto, non certo a una società che fa di tutto merce e/o spettacolo... Chi resta, dunque, chi sente ancora di avere una grande responsabilità nei confronti dei più giovani e del futuro, chi crede davvero nella pace e lotta per essa? A chi tocca essere più presente?
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