domenica 8 settembre 2002
Porto negli occhi/ tre esili finestre/ sorelle del silenzio/ nel grembo di un'abside,/ fessure dell'infinito:/ spiano nella notte/ l'intenerirsi del cielo,/ sognano a occhi socchiusi/ il ritorno del Signore.«Tornavamo dalla discoteca alle quattro di notte. Stanchi, filavamo a velocità sostenuta per una strada deserta di campagna. Tutt'intorno era buio; all'improvviso a lato vedemmo le vetrate della chiesa di un convento che erano illuminate. Sembravano gli occhi della notte». Sono, più o meno, le parole che un giovane ha usato tempo fa per raccontarmi l'emozione di un giorno che per lui ha segnato una svolta e che l'ha condotto su una via ben diversa. Certo è che la preghiera nella notte, la veglia di una comunità, il bagliore di quelle finestre sono un piccolo ma toccante segno di trascendenza, di infinito, di mistero.È ciò che esprimono i versi che sono incastonati nel libro di un parroco milanese che mi è amico, Angelo Casati. È, però, il titolo e il tema di quel libro che stimola la mia riflessione, La fede sottovoce (Paoline). Sì, oggi il parlare «sottovoce» è perdente, subissato com'è dall'urlato della polemica, della chiacchiera, della pubblicità. E, invece, il Signore al profeta Elia si presenta non nella folgore o nel terremoto o nel vento, ma in «una voce di silenzio sottile» (1 Re 19, 12). Forse sono quelle «tre esili finestre/ sorelle del silenzio» a svelarci il Dio della pace e dell'amore.
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